Kader Abdolah, 71 anni proprio oggi, è nato in Iran, ad Arak, e poi dal suo Paese è fuggito nel 1987, per rifugiarsi nei Paesi Bassi l'anno successivo. Ed è lì, in un mondo e con una lingua totalmente diversi, che è diventato uno scrittore, da anni tradotto in Italia da Iperborea. In questi giorni è a Milano per Quello che cerchi sta cercando te (pagg. 488, euro 20) un ambizioso "Viaggio mistico nella vita e nella poesia di Rumi" (di cui ha anche tradotto una serie di liriche): il più amato e celebrato dei poeti persiani, infatti, nel XIII secolo fu costretto a scappare da Balkh (oggi in Afghanistan) di fronte all'invasione di Gengis Khan.
Kader Abdolah, perché ha scelto di toccare un mostro sacro?
"È la domanda che mi sono posto anch'io. Esistono centinaia di libri su Rumi: io che cosa avrei potuto aggiungere di nuovo? D'altra parte, Rumi e la sua poesia sono parte della mia identità: quando è triste, innamorato, spaesato o addolorato, un persiano sussurra le poesie di Rumi fra sé e sé, per ritrovare il proprio equilibrio".
E alla fine?
"Alla fine ho capito: l'esilio, qualcosa a cui nessuno accenna in tanti libri su di lui. Io sono scappato dal mio Paese, e lui anche, quando era un ragazzo di 15 anni: so che cosa significhi fuggire dalla tua patria e incontrare una cultura nuova e dover imparare una lingua nuova, e so anche come l'esilio possa trasformarti in uno scrittore diverso, migliore, più potente. Perciò questo era il punto di vista dal quale avrei scritto su Rumi: la sua fuga, e come l'abbia cambiato".
Che legame c'è fra arte e fuga?
"È una domanda difficile, alla quale molti anni fa non avrei saputo rispondere, ma oggi posso farlo con un esempio, considerandomi come un albero di mele: ebbene, se fossi rimasto nel mio Paese, con la mia lingua e la mia letteratura, avrei potuto produrre mele ma, a causa degli Ayatollah, della censura e della mancanza di libertà, quelle mele sarebbero state piccole e, forse, meno saporite, o perfino malsane. Invece, quando sono fuggito, quell'albero, che sono sempre io, è potuto crescere nel terreno della letteratura olandese, nella libertà, incontrando nuovi cibi, amori, donne, persone, un'altra lingua e cultura, e così ha prodotto mele grandi e gustose".
E Rumi?
"Per lui il processo è stato dieci volte più potente, perché nel suo esilio è entrato in contatto con moltissime culture e lingue diverse, in un periodo molto duro. Ha incontrato i grandi maestri persiani della mistica e della filosofia dell'epoca: Attar, che gli insegna a non cercare Dio nel cielo bensì accanto a noi stessi; Ebn-e 'Arabi, che gli parla di amore, di Dio, di stelle e gli dice: Quando, la prima notte, tocco il corpo nudo di mia moglie, tocco l'universo intero; e poi Shams, grande poeta e filosofo, che incontra da adulto e che pronuncia le parole: Quello che cerchi sta cercando te. E poi scienziati, matematici, astronomi, medici, fisici... Tutti erano fuggiti di fronte al Khan, e il giovane Rumi e il padre li incontrano tutti".
I valori dell'antica Persia sono sempre stati sotto attacco, ieri come oggi?
"Ha presente il tappeto volante? Se osserva la trama è composta da segni, fiori, visi, simboli magici, disegni e ogni dettaglio appartiene a culture diverse: una parte è di Alessandro Magno, che ha distrutto, ma ha anche portato cose nuove; una è di Gengis Khan; un'altra è degli Arabi...".
Perché tutti in Iran?
"È uno dei luoghi più importanti del pianeta, al confine fra Est e Ovest, e molto ricco. Oggi è un Paese potente, anche se è tutto diverso. Negli ultimi dieci anni però le donne iraniane si sono ribellate agli Ayatollah, qualcosa di mai visto: combattono a mani nude contro il regime più pericoloso e terribile del mondo".
È mai tornato in Iran?
"No, è impossibile per me. Facevo parte del partito clandestino di sinistra, contro lo Scià prima e contro gli Ayatollah poi, in più scrivevo contro di loro e lavoravo per un giornale clandestino. A un certo punto hanno catturato mio fratello e mia sorella: mio fratello è stato ucciso, mia sorella è rimasta in prigione per dieci anni. Così io ho dovuto scegliere, se restare e lasciare che mi arrestassero e uccidessero, o scappare con la mia penna e vedere se potessi scrivere i miei libri".
Il padre affida a Rumi il compito di salvare la lingua persiana; lei perché invece scrive i suoi libri in olandese?
"Il padre di Rumi fece di tutto per salvare il figlio, affinché mantenesse unite la lingua, la cultura e la letteratura persiane. Io sono arrivato nei Paesi Bassi a 33 anni con due mani vuote e senza conoscere una parola di olandese. Non ero Rumi, non dovevo salvare il mio Paese e la mia lingua, ma l'anima dell'esilio mi ha spinto a voler esprimere me stesso ai miei vicini, alle persone accanto a me, e non potevo farlo in persiano, così l'ho fatto in olandese: dopo tre anni avevo già una raccolta di storie, e da allora ho scritto una trentina di libri. Questo però è il più importante, perché Rumi è parte di tutti noi".
Che cosa di Rumi è in noi?
"Te stesso.
La tua anima, il tuo dolore, la tua solitudine, la tua ricerca, la tua lingua. Ci sei tu. È il lato oscuro della Luna, il suo volto nascosto. E poi è pura musica, che io ho cercato di tradurre, a modo mio: un piccolo buchino nel muro per sbirciare nella sua poesia e nella sua bellezza".