Costruire un’azienda dal nulla, trasformarla in un marchio riconosciuto in tutto il mondo e farlo mantenendo lo spirito artigianale delle origini: è questa la storia di Alfredo Moratti, fondatore di Amica Chips e protagonista di un percorso imprenditoriale unico nel suo genere. L'imprenditore ha ora raccontato la sua storia nel libro: "Ci vuole simmetria - Il segreto di Amica Chips" (Mondadori) scritto insieme a Filippo Poletti.
Dalle difficoltà della giovinezza alle prime porte chiuse, dal coraggio di ripartire con soli due clienti che gli diedero fiducia fino alla crescita internazionale che oggi porta le sue patatine in oltre venti Paesi: il racconto di Moratti è quello di un uomo che ha saputo trasformare i problemi in rivincita, il lavoro in passione e l’amicizia in uno dei valori cardine della sua filosofia aziendale.
Nel suo libro ripercorre questa ascesa fatta di intuizioni, errori, sacrifici e simmetrie, un concetto che per lui significa ordine, lungimiranza e capacità di vedere più lontano degli altri. Moratti si apre con sincerità e ironia: parla delle sfide quotidiane del Made in Italy, del ruolo fondamentale dei collaboratori, del valore dei rapporti umani e della forza di un sogno che continua a crescere. Una conversazione che non è solo testimonianza imprenditoriale, ma soprattutto un invito a credere nel lavoro, nella costanza e in quel pizzico di fortuna che, come dice lui stesso, “nella vita serve sempre”.
Dottor Moratti, come nasce l’idea di raccontare la sua storia in un libro?
"L’idea è nata circa un anno fa, durante un evento in cui alcuni ragazzi neolaureati, che stavano iniziando il loro percorso professionale, mi hanno rivolto molte domande sulla nascita dell’azienda e sul mio percorso. Tutti, più o meno, mi chiedevano la stessa cosa: “Come si costruisce un’azienda dal nulla?”. Allora mi sono detto: forse è arrivato il momento di mettere questa storia nero su bianco. Anche perché, partecipando a eventi e facendo parte del consorzio Italia del Gusto, mi sentivo ripetere continuamente: “Ma com’è possibile che un’azienda alla prima generazione riesca a crescere così?”. È lì che ho pensato che un libro potesse essere utile".
Che cosa ha significato per lei mettere per iscritto un percorso imprenditoriale ma anche umano?
"È stato emozionante. Raccontare la propria storia è sempre bello, perché quando se ne parla significa che è andata bene. C’è orgoglio, certo, ma soprattutto c’è la soddisfazione condivisa con i miei collaboratori: qui ci sono persone che lavorano con me da trent’anni. Senza di loro non sarei arrivato dove sono".
Il titolo del libro contiene la parola simmetria. Che cosa rappresenta per lei questo concetto?
"La simmetria è un termine che non si usa quasi più, ma anni fa era molto comune. Per me significa tante cose: ordine, organizzazione, lungimiranza. Le aziende che “hanno simmetria”, sono quelle che non disperdono energia, che sanno pianificare, che evitano la confusione. La simmetria serve a capire il futuro, a programmare gli investimenti, a mantenere un equilibrio interno. Per me è stata determinante in tanti momenti dell’azienda".
C’è un episodio in cui questa visione le ha permesso di superare una difficoltà?
"Le difficoltà per un’azienda sono quotidiane, ogni giorno c’è qualcosa da affrontare. Quindi non c’è un episodio in particolare: direi che la simmetria mi ha aiutato ogni giorno a gestire problemi, priorità, investimenti".
Quanto è importante oggi equilibrio e organizzazione per un imprenditore?
"È fondamentale. Oggi tutto è scritto, regolamentato, definito: lavorare con la grande distribuzione non è più come vent’anni fa. Servono collaboratori preparati e serve una struttura disciplinata. La simmetria, in questo senso, è decisiva".
Nel libro racconta la sua giovinezza, segnata da momenti difficili. Quanto hanno inciso sul suo percorso?
"Molto. All’epoca il termine “bullismo” non esisteva, ma di fatto l’ho vissuto. Mi sono ritrovato a scuola con i figli dei “papà importanti” del paese, famiglie molto facoltose. Io venivo da un’altra realtà, mi sono trovato umiliato molte volte. Col tempo quelle umiliazioni sono diventate una spinta, una rivincita. E oggi quando incontro qualcuno di quei ragazzi, ora adulti, e spesso senza grandi risultati, mi dicono: “Sei stato bravo”. E io rispondo: “Tu però quando eri il figlio del direttore, non mi degnavi di uno sguardo”. È una soddisfazione, certo, ma è stata anche la mia molla per impegnarmi".
Ha mai pensato di spostare l’azienda all’estero? Perché ha scelto di restare sul territorio?
"Il nostro è un prodotto “povero”: grandi volumi, ma valore unitario basso. Per andare all’estero bisogna creare realtà produttive solide, stabili, avere collaboratori affidabili. E non è facile trovare i posti giusti, il rischio sarebbe quello di vendere i ghiaccioli al Polo Nord. Da Castiglione delle Stiviere, dove abbiamo due sedi, riusciamo comunque a esportare in 22–25 Paesi. Per ora mi fermo qui. I miei figli poi decideranno se aprire qualcosa all’estero".
Si ricorda i primi passi, quelli davvero difficili?
"Sì, molto bene. All’inizio lavoravo come commerciale in una piccola azienda del settore. Quando decisi di cambiare e mettermi in proprio, non tutti mi aprirono le porte. Quando lasci un fornitore per un altro, i clienti non dicono: “Che bello, sei arrivato con un nuovo prodotto!”. No, ti dicono: “Io con l’altro sto bene, perché dovrei cambiare?”. All’inizio solo due clienti mi hanno dato fiducia. Li ringrazio ancora oggi".
Come nasce il nome Amica Chips?
"Da una vacanza in Sardegna. Eravamo quattro famiglie insieme. Un amico, sfogliando la rivista Amica, mi disse: “Ecco il nome della tua azienda”. Io aggiunsi “Chips”, ed è nato tutto sotto l’ombrellone".
Qual è stato secondo lei il momento decisivo della crescita dell'azienda?
"All’inizio abbiamo copiato un po’ le grandi aziende, poi è arrivata la svolta: la pubblicità con Rocco Siffredi. Quella campagna ci ha dato un’enorme notorietà. Ancora oggi, dopo tanti anni, se ne parla ancora".
Come si mantiene uno spirito artigianale in un’azienda che esporta in 25 Paesi?
"Con la presenza. Io sono negli uffici tutti i giorni. Parlo con tutti: dai responsabili ai magazzinieri. Questo crea un’anima artigianale. Poi, parallelamente, investiamo in tecnologia, innovazione e progetti industriali. È un equilibrio tra vicinanza e crescita".
Nel libro ricorre spesso la parola “amicizia”. Perché per lei è così importante?
"Perché dopo trent’anni di rapporti con fornitori e collaboratori, nasce un rapporto umano. Non è strano che un fornitore, con cui lavoro da decenni, diventi un amico con cui vado a cena o gioco a tennis. Il nostro trasportatore, ad esempio, era un mio compagno di scuola: è partito con un camion, oggi ne ha cento. È amicizia, ma anche fiducia e onestà".
Quali sono oggi le sfide più grandi per un’azienda del food Made in Italy?
"Il Made in Italy è fortissimo all’estero, ma va difeso. Noi, per esempio, collaboriamo con Eataly: in qualsiasi negozio del mondo entri, trovi Amica Chips. La sfida è mantenere qualità e innovazione. Poi ci sono le fiere internazionali: Dubai, Shanghai… dove ci presentiamo come parte del consorzio Italia del Gusto, insieme alle eccellenze italiane".
Com’è stato lavorare con Filippo Poletti alla scrittura del libro?
"Filippo è una persona educata, paziente, professionale. Abbiamo scritto il libro la sera, la mattina presto, perfino all’ora di pranzo. Io l’ho già consigliato a vari amici imprenditori: se faranno un libro, lo faranno con lui".
Se potesse parlare al giovane Alfredo, quello degli inizi, cosa gli direbbe?
"Gli direi di imparare l’inglese. Perfettamente. È l’unica cosa che rimpiango. Alle fiere spesso devo farmi aiutare da qualcuno. Ma ormai ho la mia azienda e non posso staccare per andare a Londra mesi e mesi".
Oggi che ha raggiunto il successo, continua a sognare in grande?
"Sognare in grande è un obbligo per un imprenditore.
