
Marc Lazar, storico e sociologo della politica di fama mondiale, docente a Sciences Po a Parigi e all'Università Luiss a Roma, sarà il 31 maggio a Torino, al Festival Internazionale dell'economia, per due incontri su temi attualissimi: «Governi deboli per scelte forti: Francia, Germania e l'Europa» (Camera, Centro Italiano per la Fotografia, ore 17.30) e «Il nemico. Elon Musk e l'assalto del nuovo capitalismo alla democrazia» (con Stefano Feltri, Circolo dei lettori, ore 15).
Professor Lazar, lei parlerà di democrazia e capitalismo: non sono il cuore dell'Europa?
«È vero, ma la situazione attuale ci ricorda come la democrazia sia fragile. Ci siamo abituati a una equivalenza fra Europa e democrazia, ma in due periodi recenti non è stato così. Negli anni '20 e '30 del '900, la democrazia è stata sfidata e perfino distrutta in certi Paesi, senza parlare della Russia bolscevica: in Germania con il nazismo, in Italia con il fascismo, in Francia».
L'altro periodo?
«Negli anni '60, quando una contestazione da sinistra ha attaccato la democrazia, detta borghese, in nome di un allargamento delle libertà, che però ha spinto certi gruppi alle armi e al terrorismo: lo avete sperimentato sulla vostra pelle, in Italia. Perciò, da storico, dico che c'è una fragilità della democrazia in Europa».
E oggi?
«Tre sono le sfide. La prima arriva dalla Cina: abbiamo visto Xi e Putin in piazza a Mosca, per la parata del 9 maggio. Nel 2018, i due leader avevano scritto un manifesto per affermare che la democrazia è finita e proporre un altro tipo di regime, come modello per il Sud globale: un regime molto centralizzato, autoritario ed efficiente, che trova ammiratori anche in Europa; pensiamo a Marine Le Pen, Zemmour o Salvini».
La seconda sfida?
«L'islamismo politico. Non la religione musulmana bensì la componente islamista, terroristica, che non è solo una minaccia esterna, ma anche interna: una parte minoritaria di musulmani odia - non esiste altra parola - il nostro sistema politico e i nostri valori. Infine, la terza sfida arriva dall'amministrazione Trump e dal suo ideologo, J.D. Vance».
Il discorso di Monaco?
«Vance ha criticato la democrazia in Europa, dicendo che è finita. Un attacco durissimo, che in Europa ha creato stupore, anche se alcuni nel continente condividono il ragionamento di Vance».
Perché queste tre sfide sono decisive?
«Perché si collocano in un contesto in cui c'è un livello altissimo di diffidenza politica, nei confronti delle istituzioni e dei partiti tradizionali; un contesto che fragilizza ancora di più le nostre democrazie».
Come fa l'Europa a rispondere a queste sfide se è fragile?
«Se avessi la risposta a questa domanda... Innanzitutto bisogna avviare un confronto forte di fronte all'opinione pubblica, in cui ripensare il significato della democrazia. Poi ricostruire la fiducia: questo è decisivo. Siamo soliti dire che la gente non ha fiducia verso le élite».
Non è così?
«È così, ma quello che colpisce oggi è che molte delle élite non abbiano fiducia nel loro popolo. Una forma doppia di diffidenza, dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso. Perciò va ricostruita una forma di doppia fiducia».
Come?
«Nei sondaggi emergono due tendenze, apparentemente antagoniste, fra i cittadini europei. La prima è l'aspettativa forte di un leader forte; perfino un leader che possa non prendere in considerazione il voto dei cittadini e il Parlamento avrebbe la preferenza del 41 per cento dei francesi e del 39 per cento degli italiani. Alla domanda: sarebbe d'accordo se le forze armate andassero al potere nel suo Paese?, in Francia il 30 per cento ha detto sì, in Italia il 27».
Che cosa significa?
«Per me, non che ci sia voglia di dittatura, ma che ci sia una aspettativa di autorità, perché la situazione è incerta, ci sono la guerra, una realtà sociale complicata, le disuguaglianze, un confronto aperto sulla diversità della nostra società, il declino della democrazia, la presenza dell'immigrazione. Chi siamo?, come possiamo vivere insieme? Ecco, dobbiamo rispondere a queste domande, a queste paure».
L'altra tendenza?
«Una enorme aspettativa di maggiore partecipazione: i cittadini vogliono essere più coinvolti. Perciò dobbiamo ricostruire la fiducia e inventare nuove forme di democrazia, più aperte ai cittadini, per rispondere a queste due aspettative antagonistiche».
Queste due aspettative vanno nella direzione del populismo?
«Sì. E la grande novità del populismo oggi, a differenza del passato, è di presentarsi come migliore della democrazia, dicendo ai partiti: voi avete paura del popolo, noi no».
E qui arriviamo al capitalismo e a Musk: esiste un capitalismo in contrasto con la democrazia?
«Dopo la Seconda guerra mondiale, l'Europa ha pensato che il capitalismo potesse avere una forma di regolamentazione, attraverso un sistema di welfare. Oggi esistono due elementi del capitalismo che sfidano la democrazia: le disuguaglianze, che sono in forte aumento e sono una componente del malessere sociale; un cambiamento, che arriva dagli Stati Uniti ed è legato alla Silicon Valley e anche a Musk, che è una forma di separazione fra capitalismo e democrazia».
Che cosa comporta?
«Si può pensare a fare affari e basta, e la dimensione democratica non è la cosa più importante. L'unica priorità sono il business, fare affari, sfruttare le risorse della Silicon Valley: la democrazia e i diritti non contano».
La nostra libertà?
«Assolutamente, anche quella. Libertà totale per gli affari, mentre per il resto la libertà può anche essere limitata. Lo vediamo con l'attacco alle libertà accademiche in Usa: le manifestazioni propal e il wokismo hanno offerto le armi a Trump per combattere le libertà accademiche, già sotto attacco da parte di componenti minoritarie di sinistra nelle università».
Questa forma di capitalismo è anche una forma di sorveglianza?
«Certo, c'è anche questo elemento. È peggio di Orwell... Ma la novità più interessante è il legame col populismo: tradizionalmente, questo è l'opposizione fra popolo buono ed élite corrotte; invece oggi in Usa vediamo che una parte delle élite è legata a questo populismo e si ritrova nell'idea di sviluppare tutte le potenzialità del capitalismo, anche minacciando la democrazia».
Come la minaccia?
«Da questo capitalismo aggressivo vedo due rischi. Innanzitutto, un aumento delle disuguaglianze, del precariato, degli affari che trionfano senza considerare libertà e diritti. E poi quella che Carlo Levi chiamava paura della libertà: ci sono delle situazioni in cui i popoli possono rinunciare alla libertà, se qualcuno promette protezione economica, sociale, contro la delinquenza, i migranti... Siamo sicuri che tutti vogliano difendere la democrazia?».
È preoccupato?
«Personalmente sì, molto».