
Da che cosa è definito il soggetto cristiano? Da che cosa è definita la personalità cristiana? È definita dalle tue analisi della situazione? È definita dai tuoi concetti? È definita dalle tue teorie? La personalità cristiana è definita da un gesto: dal gesto del Padre che ti ha scelto, che ti ha «mandato», si dice con termine evangelico. Mandato, missus, da mittere, cioè «missione »: la personalità cristiana è definita dal termine «missione ». Anche questo termine può essere equivoco. Si può dire: «Andiamo “in missione” esplorativa nel Congo», va bene, ma non c’entra, non è questo; oppure: «La “missione” della scuola», ma anche questo non c’entra, è chiaro: « etiam ethnici hoc faciunt », anche i pagani possono far questo, e meglio. La parola «missione» indica che l’essenza della tua personalità è la coscienza del Padre che ti manda, e il contenuto di questo «mandato» è il mistero del Figlio, è il mistero di Cristo. La personalità cristiana – come stiamo dicendo, come stiamo analizzando con gli universitari di Comunione e Liberazione –, il soggetto cristiano è l’uomo che fa coincidere la coscienza di sé con la coscienza del Padre che lo manda nel mondo ad annunciare il mistero di Cristo. Questo è il contenuto della personalità cristiana, questa è la salvezza del mondo: Cristo nostra speranza.
La «fede» non è una teoria per il cristiano, è il riconoscimento d’un avvenimento, è il riconoscimento di una realtà che è accaduta e che continua ad accadere, è il riconoscimento della realtà di Cristo, è il riconoscimento della sua continuità nella storia, cioè è il riconoscimento del mistero della comunione cristiana. La «fede» vuol dire «adesione alla comunità ». Il soggetto cristiano, il soggetto vero dell’essere dentro è l’uomo che vive la comunità cristiana, è la comunità cristiana. È la comunione cristiana il vero soggetto dell’esser dentro una situazione: quartiere, scuola, università, città, nazione, mondo. Il vero soggetto cristiano è l’uomo che vive e porta con sé e crea, costruisce, la Chiesa là dov’è; è la comunione cristiana. La comunione cristiana è una struttura; la fede cristiana è il riconoscimento d’un avvenimento non astratto, carico di struttura, come aveva una struttura quell’uomo che hanno potuto schiaffeggiare e ammazzare, e che aveva anche la possibilità di avere un parere contrario alla cultura dominante. La fede implica perciò la struttura d’un avvenimento nuovo. Allora non sei dentro il tuo quartiere se non per questa fede e con questa fede, se non portandoti dentro ed esprimendo una struttura nuova, che è la struttura della comunione cristiana: comunione e liberazione. Questo è il nostro compito, ogni altra partenza non è nostra. Questo è veramente strano: tutti coloro, anche tra di noi, che son tentati di sottolineare o di fatto sottolineano il valore dell’aspetto strutturale nell’analisi della situazione di bisogno, quando si tratta della fede sono intimisti, “personalisti” nel senso negativo della parola.
Forse la cosa si chiarisce ulteriormente con un nota-bene importante: voglio sottolineare, come corollario, il pericolo che nasce dal non tener presente quanto appena detto, dal non tener presente che noi non condividiamo da cristiani la realtà e perciò non portiamo quel che dobbiamo portare, se non siamo ben vigilanti. «Vigilate!» dice continuamente Gesù nel Vangelo: se non restiamo ben vigilanti sull’essere noi stessi, sull’essere personalità cristiana e perciò personalità di comunione, la cui azione è creazione di comunione cristiana, c’è il pericolo di una dicotomia, cioè di un dualismo, di una divisione nella propria vita, che adesso tento di descrivere. Ci si porta sul mondo – «mondo» vuol dire scuola, università, stabilimento, fabbrica, vuol dir quartiere, vuol dire azione culturale, vuol dire politica – non come presenza missionaria per portare il mistero di Cristo, che è una struttura nuova nel mondo; ci si porta senza un’autocoscienza, starei per dire – non so se la frase è precisa, ma è significativa – senza un’autocoscienza di comunità, di comunità cristiana, in nome di Cristo, con quella struttura che da Lui è nata. E allora ci si porta sul mondo (scuola, università eccetera): o per un impeto moralistico – per un motivo in fondo esterno alla situazione e interno all’uomo, soggettivista –, cioè per il dovere: «Questa situazione non è giusto che sia così e mi porto su di essa» (questo è un atteggiamento moralistico, che è l’atteggiamento normale dei movimenti dominanti oggi, innanzitutto quello marxista); oppure per un determinante psicologico: ci si porta a lavorare dentro la scuola, a sottolineare il problema della scuola, dell’università, del quartiere, della fabbrica o della politica, perché ci si sente “portati a”; oppure, peggio, per una affermazione di sé.
Operativamente la formula «Comunione e Liberazione» è nella
nostra storia l’espressione più bella e più precisa di questo e perciò non vale solo per gli universitari, ma vale per qualunque nostro tipo di azione, e per questo io la sottolineo per tutti direttivamente e autorevolmente.