
Accade, talvolta, che la verità ami dismettere gli abiti perentori che le sono propri, per preferire sembianze più miti e arrendevoli. E se c’è di mezzo la morte, le cose si complicano: qui le parole sono chiamate a vestire o denudare le contusioni d’anima, a seconda del cambio di scena. Lo sa bene Donata Biase. Nel suo intenso e prezioso lavoro letterario (Fai un bel respiro e ascolta - Edizioni Baldini+Castoldi), l’autrice sonda le molteplici declinazioni dei fatti, che non sono mai innocenti, ma, al contrario, gravidi di intenzioni. Non a caso, nelle parole di nonna Ada a Emma, l’incidente d’auto tramuta in delitto, in atto di crimine che gronda sangue antico. Estremo. Irrimediabile. Ada sovverte il piano. Deliberatamente. Congeda ogni dubbio e restituisce alla nipote il corpo dolente del racconto, non più agghindato, ma terreo, essenziale. Secco. Irrevocabile e solenne. Ada, in prossimità del confine con la regione brulla della morte, la sua, libera Emma. La partorisce di nuovo, in luogo di una madre assente.
Da questo momento in poi, la storia si fa spartito musicale dal ritmo incalzante e impietoso. Grazie allo stile di Biase, che non conosce dilazioni, pigrizie barocche o autocompiacimenti. Uno stile che procede per scansioni precise e che, nella sua sobrietà metrica, mette in salvo la complessità dei personaggi da ritrattistiche pedanti o da prescrizioni similpedagogiche. Di più: la cifra estetica di Donata Biase è così chiara e accessibile da collidere, talvolta, con la materia del romanzo, tutt’altro che agevole.
Sta proprio qui l’originalità di Fai un bel respiro e ascolta. Un romanzo postmoderno dalle origini lontane, in cui è possibile rintracciare, a tratti, Flaubert e Tolstoj e, persino, la potente mistica del dolore di Dostoevschij.
L’amore stesso, del resto, non si rimodula a seconda del tempo storico: è un fondo oscuro ed enigmatico, irriducibile alle ispezioni della ragione, che puoi abbracciare perché non ti vinca. Emma, che è una delle tante, fascinose identità di Donata, lo sa.