Letteratura

L'invenzione (malfatta) del Medio Oriente

Il Cairo, 1921: i leader occidentali ridisegnano l'ex Impero ottomano. L'esito è sotto i nostri occhi. Il saggio di C. Brad Faught

Winston Churchill, Gertrude Bell e Lawrence d'Arabia nel 1921
Winston Churchill, Gertrude Bell e Lawrence d'Arabia nel 1921

Trale foto iconiche del Novecento, la più falsa, nella sua verità, è quella che immortala, sullo sfondo delle piramidi di Giza e con la Sfinge a fare da enigmatica, va da sé, sentinella, un pittoresco gruppo di europei in groppa a un cammello arabo, ovvero il dromedario a una gobba... Da sinistra a destra, lo scatto ritrae Clementine Churchill, suo marito Winston Churchill, l’arabista Gertrude Bell, il tenente colonnello T.E. Lawrence, l’ispettore Walter Thompson, nella sua funzione di guardia del corpo di Churchill, un paio di militari e un paio di civili il cui nome non ha più una rilevanza storica. Di arabo, nell’immagine, di là dal panorama, gli animali e i beduini che li tengono a bada, non c’è niente: persino il leggendario Lawrence d’Arabia ha la lobbia in testa e un completo a tre pezzi e Churchill si è messo gli occhiali da sole e si è coperto con soprabito e cappello. Quando alle due donne, Clementine è tutta in bianco, con tanto di fazzoletto a proteggerle la testa, Gertrude ha un cappottone con collo di pelliccia e un copricapo ornato di piume...

È insomma l’Occidente quello che è in posa, e un Occidente a cui l’Oriente è chiamato a fare soltanto da cornice. L’anno è il 1921 e, in quanto ministro delle Colonie dell’Impero britannico, Churchill si è messo in posa davanti alla Sfinge a coronamento della Conferenza del Cairo nella quale si sono stabiliti i futuri confini di quello che è stato appena ribattezzato, al di là dell’Oceano, Middle East, ovvero Medio Oriente, ma che fino a poco tempo prima non era stato altro che l’Arabia dell’Impero ottomano. Di quest’ultimo, la fine della Prima guerra mondiale ha sancito la scomparsa e il suo smembramento e la Conferenza, appunto, si è incaricata di ridisegnarne la mappa, tenendo d’occhio gli interessi inglesi in primis e quelli francesi subito dopo, nonché dovendo venire a capo di trattati e accordi, più o meno segreti, che durante gli anni del conflitto sono stati firmati: con gli arabi, con i curdi, con il sionismo internazionale. A tutti è stato promesso molto e spesso e volentieri la promessa a qualcuno vuol dire il venir meno alla parola data a qualcun altro...

Come riassumerà sconsolata Gertrude Bell: «Come puoi convincere la gente a stare dalla tua parte se non sei sicura che alla fine tu starai dalla loro? Ci siamo buttati a capofitto in questa faccenda, con la nostra solita noncuranza per un quadro politico complessivo».
Come che sia, dalla Conferenza del Cairo emergerà la creazione di due Stati arabi, l’Iraq e la Transgiordania, una Palestina sottoposta a mandato britannico e divisa a ovest e a est dal fiume Giordano, la prima «focolare nazionale» ebraico, la seconda d’impronta araba, una Siria sotto protettorato francese... Una immagine beffarda di questa «strategia di controllo» può essere data dall’incidente che durante un’escursione successiva alle piramidi di Giza vedrà protagonista proprio Churchill: la sella del suo cammello si allentò e lui si ritrovò carponi sulla sabbia. «Come cadono facilmente i potenti!» ironizzò la moglie Clementine, ma più che un uomo politico disarcionato suo malgrado, era una strategia politica a finire gambe all’aria. Il Medio Oriente di oggi è ancora figlio di ciò che allora venne deciso.

L’invenzione del Medio Oriente, di C. Brad Faught (Neri Pozza, pagg. 304, euro 20; traduzione di Alessandra Manzi), è il resoconto minuzioso di quella conferenza, dieci giorni di incontri tenutisi nell’elegante cornice del Semiramis Hotel del Cairo, un lavorio diplomatico faticoso e incessante e che, almeno allora, portò i suoi frutti. Con il senno di poi, nota l’autore, l’ottimismo con cui si pensò che «il problema cardine di una Palestina divisa dal punto di vista etnico e religioso potesse essere risolto con un successo può sembrare di un’apparente ingenuità» oppure, da un altro punto di vista, «può apparire dominato da una certa arroganza occidentale, nonché dal paternalismo, e risultare fra l’altro condizionato dall’esercizio stesso del potere imperiale». Brad Faught fa suo del resto anche il giudizio di un altro storico, Roger Luis, che ha definito la Palestina come «il più grande fallimento di tutta la storia del dominio imperiale inglese». «Il drammatico torrente di violenze, oppressione e barbarie rovesciatosi sulla popolazione araba residente nell’attuale Israele contemporaneo - aggiunge a propria volta - è un’ampia conferma a questa affermazione di piena condanna».

Ciò che allora come ora emerge dalla Storia, è una sorta di coazione a ripetere, la paura di battere nuove strade, l’idea che rimanere su sentieri già sperimentati sia la via giusta... La Conferenza del Cairo rientrava nella tradizione dei grandi congressi europei che avevano attraversato tutto l’Ottocento, da quello di Vienna del 1815 a quello di Berlino del 1878. Continuare a muoversi in una logica ottocentesca impediva però di capire che il Novecento aveva cambiato tutte le regole del gioco, nonché i giocatori e lo stesso terreno di gioco, il che era abbastanza evidente per chi avesse solo deciso di guardarsi intorno. Continuare una logica imperiale, quando una serie di imperi si era disintegrata all’indomani della Grande guerra, significava non solo una grande presunzione in quelli rimasti, ma anche il voler continuare ad applicare parametri occidentali a realtà geopolitiche nuove e del tutto estranee, quando non refrattarie a imposizioni esterne.

C. Brad Faught non si spinge al punto di definire l’esito della Conferenza del Cairo «la follia di Churchill», come altri storici hanno fatto, ma anche prescindendo dal «pasticcio palestinese», la stessa creazione artificiale di un Iraq a monarchia hascemita poggiava su basi fragili, come, più in generale, un po’ tutti gli Stati monarchici creati in Medio Oriente dopo la Grande guerra. L’unico ad aver resistito è stato la Giordania, che paradossalmente è quello che godeva di minor credito da parte inglese...

L’attuale fragilità mediorientale ha insomma, come abbiamo visto, una lunga storia alle sue spalle e, come scrive sconsolato C.

Brad Faught, «a cento anni di distanza è difficile evitare la tentazione di concludere che i molti fallimenti degli indirizzi geopolitici della Conferenza del Cairo per il Medio Oriente potrebbero anche essere stati una grande opportunità mancata, le cui tremende conseguenze sono ancora presenti ai nostri giorni».

Commenti