
Oggi la libertà si trova a mal partito per varie ragioni.
Se in generale è abbastanza riconosciuto come il suo declino sia connesso al restringersi dell’autonomia dei singoli, non c’è però adeguata consapevolezza del fatto che sta imponendosi una visione dell’uomo che nega l’esistenza stessa della libertà, rappresentando l’individuo quale soggetto determinato e quindi (almeno potenzialmente) prevedibile nelle sue scelte.
Questo è dei uno dei temi al centro di un appassionante volume, Sono libero, o non sono (Liberilibri, pagg. 160, euro 16) di Riccardo Manzotti, un filosofo morale che da anni presta grande attenzione alle neuroscienze. Per l’autore quello che fa di una persona ciò che è, è proprio il suo essere libera: il suo poter e dover scegliere. Di conseguenza Manzotti reagisce dinanzi a una serie di riduzionismi che finiscono per negare questo elemento fondamentale. L’idea centrale è che non possiamo ricondurre il nostro optare per valori a un calcolo necessario.
Piaccia oppure no, le scelte fondamentali dell’esistenza hanno poco a che fare con un mero soppesare costi e benefici, perché la vita non è confinabile in questo schema. Sedi fronte a ogni possibilità esistessero soluzioni univocamente «razionali» non vi sarebbe alcun bisogno dell’autonomia decisionale. Un’ipotetica conoscenza incontrovertibile (quella che nel dibattito pubblico è spesso chiamata in causa quando retoricamente è evocata «la scienza») ci dovrebbe indurre a individuare un ristretto numero di esperti chiamati a predisporre tutto. In realtà, la scienza non è autorizzata a decidere per noi, dal momento che non è per nulla evidente, ad esempio, che sia legittimo sacrificare ogni libertà al fine di prolungare di un solo giorno la sopravvivenza di qualcuno o anche di tutti. Il che significa che ogni fallibile ipotesi scientifica deve fare i conti con quei fini che facciamo nostri quali individui umani. Non c’è modo, insomma, di evitare la fatica di un serrato confronto con i valori. Per Manzotti, che prima di dedicarsi alla filosofia conseguì una laurea in ingegneria, gli algoritmi possono allora anche essere utili, ma rimangono strumenti.
Il teatro dell’esistenza vede dunque agire soggetti imprevedibili, non programmabili, che procedono sulla base di valori che essi stessi scelgono e in qualche modo instaurano con la loro azione. Se le cose stanno così, nulla è più pericoloso di quel totalitarismo scientista che durante il biennio “cinese” della pandemia voleva ridurci a semplici corpi da mantenere in vita, assolutizzando il punto di vista di alcuni medici, e che ora drammatizza il cambiamento climatico con esiti analogamente liberticidi. In Sono libero, o non sono è detto a chiare lettere che entro un mondo egemonizzato dalle logiche dell’igienismo e della sopravvivenza – Manzotti parla della «società dei corpi» – alla libertà deve essere impedito di dispiegarsi. Se i corpi sono tutto e non vi è assolutamente altro, è fatale che ci venga impedito di esistere. A partire da qui il libro sviluppa una riflessione sull’antropologia che, riprendendo con grande libertà la nozione di «persona», si propone di evitare sia lo spiritualismo, sia il materialismo.
Nel provare a definire i confini della libertà umana, e quindi il coesistere di quelle diverse «potenze» che sono gli individui umani, Manzotti adotta una prospettiva realista, che riconduce l’autonomia dei singoli alla loro capacità d’imporsi: alla forza che ognuno di noi sa dispiegare per tutelare le proprie ragioni. Sul piano effettuale non di rado le cose vanno così: e molto spesso i «diritti» (reali o presunti) discendono proprio dal nostro potere. C’è però da domandarsi se questo sia sufficiente e se davvero si debba dar ragione al Trasimaco platonico, persuaso che la giustizia non sia nient’altro che la volontà del più forte.
D’altra parte nel volume la libertà è del tutto sganciata dal riconoscimento di un «altro» che disponga di diritti non violabili. In questo quadro, lo stesso oppressore protegge una sua libertà sconfinata anche a costo di annientare la libertà altrui.
Lo sfondo teoretico-filosofico adottato da Manzotti è piuttosto articolato. Dalle pagine emerge infatti un peculiare «attualismo», che viene fatto risalire a Euclide di Megara. Alla fine, la realtà è soltanto che ciò che è hic et nunc: così che ognuno è chiamato a vivere la propria avventura terrena nella consapevolezza che la nascita è l’inizio e la morte la conclusione. L’idea fondamentale è che diamo un senso a tutto ciò se siamo consapevoli – è il tema della gloria – che la nostra finitezza è insuperabile, ma dobbiamo viverla con la massima intensità.
Non mancano tracce di Spinoza e altri, ma gli stessi riferimenti bibliografici che appaiono in nota mostrano come l’autore sappia utilizzare (al tempo stesso) Ayn Rand e Herbert Marcuse, Giorgio Agamben e Karl Popper, John Zerzan e Bjorn Lomborg. Si tratta senza dubbio di accostamenti inusuali, ma anche questo, a ben guardare, è un altro segno della libertà di orizzonti dell’autore.