
«Per me non può esservi sollievo nella compagnia degli uomini». È una frase severissima che testimonia tutta la solitudine di un uomo: parole che Ludwig van Beethoven scrisse in una lettera del 6 ottobre 1802 indirizzata ai suoi fratelli Kaspar Karl e Nikolaus Johann e nota come «Testamento di Heiligenstadt». In essa, il compositore esprime la sua disperazione e il suo senso di frustrazione dovuti all'isolamento causato dalla sordità: «Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. Ma quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e io ancora nulla udivo. Tali esperienze mi hanno portato sull'orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto».
Beethoven, in questa lettera, tiene a spiegare ai fratelli come il suo apparire «astioso, scontroso o addirittura misantropo» non era che frutto del suo malessere. il libro Io vivo solo nella mia musica (Edizioni BluesBrothers, pagg. 160, euro 17), contiene un'ampia selezione di lettere beethoveniane utili per tratteggiare l'uomo dietro al compositore e il suo carattere tutt'altro che facile. Beethoven non amava la scrittura - avrebbe preferito scrivere «piuttosto 10.000 note che una lettera dell'alfabeto» - ma la lettura delle sue lettere e diari si rivela comunque interessante. Ad esempio quando emerge qua e là la sua intolleranza e le sue sfuriate: «Imbecille, asino presuntuoso. E debbo scambiare complimenti con un tale mascalzone che mi rubacchia il denaro? Dovrei invece tirargli le sue orecchie asinine. Pasticcione di un copista! Imbecille! Corregga gli errori che ha fatto per ignoranza, arroganza, presunzione e stupidità. Questo le si addice meglio che non pretendere di farmi la lezione, perché è proprio come se la scrofa volesse fare la lezione a Minerva».
Riguardo i colleghi compositori, la triade prediletta da Beethoven era Bach, Mozart e Cherubini. Il primo venne definito «immortale dio dell'Armonia»; del secondo assicurò che «in ogni momento mi sono annoverato fra i più grandi ammiratori di Mozart e lo rimarrò sino al mio ultimo respiro»; a Cherubini, invece, scrisse direttamente: «Reputo le vostre opere superiori a tutte le altre opere di teatro. Resto incantato ogni volta che sento una vostra nuova opera e vi prendo più partecipazione delle mie proprie: in breve vi onoro e vi amo. Voi resterete sempre, fra i miei contemporanei, quello che stimo di più».
Molto complesso fu il rapporto di Beethoven con le donne. Franz Gerhard Wegeler, medico e amico di Beethoven, scrisse che «Beethoven era sempre innamorato», ma, nonostante questo, tutto rimaneva confinato al di fuori della realtà: il compositore, infatti, mai si sposò né ebbe mai relazioni vere e proprie. Certo, fu anche sfortunato: Magdalena Willmann lo aveva respinto deridendolo, Therese Malfatti gli era indifferente, Giulietta Guicciardi e Julie von Vering avevano preferito un altro, Marie Bigot aveva riferito al marito delle avances del compositore, Bettina Brentano ci aveva flirtato senza però dirgli che in realtà amava un altro.
Questa permanenza dell'amore nel regno dell'ideale è plasticamente rappresentata da una lettera di Beethoven nota come Lettera all'amata immortale, ritenuta risalente al luglio 1812, che probabilmente mai venne inviata alla destinataria: «L'amore esige tutto e ben a ragione, così è di me per te e di te per me. Per affrontare la vita, io debbo vivere esclusivamente con te, oppure non vederti mai. Sì, ho deciso di andare errando lontano, fino a quando potrò volare fra le tue braccia, dirmi davvero a casa mia presso di te e, circondato dalle tue braccia, lasciare che la mia anima sia trasportata nel regno degli spiriti beati. Sii calma amami Oggi ieri che struggente desiderio, fino alle lagrime, di te di te te vita mia mio tutto, addio. Oh continua, continua ad amarmi non disconoscere mai il fedelissimo cuore del tuo amato».
Una sintesi efficace del rapporto tra Beethoven e le donne è quella del musicologo Maynard Solomon: «In tutte le passioni di Beethoven era stato respinto dalla donna amata, oppure si era ritirato aspettandosi un rifiuto. Ciononostante l'ininterrotta serie di rifiuti - alcuni dei quali egli può avere persino considerati tradimenti - deve avere avuto effetti disastrosi sul suo orgoglio. Per Beethoven quindi, la relazione con l'Immortale Amata rivestiva un significato miracoloso».
Con la nobiltà, invece, Beethoven era doppio e silurava o lodava secondo le necessità: chiamò il conte Nikolaus Zmeskall von Domanovecz
«carissimo barone nettezza urbana», ma quando ebbe bisogno di un prestito i toni mutarono in «amatissimo Conte di musica! carissimo Conte, fidato amico mio».È anche grazie a queste lettere che Beethoven ci appare molto più vicino.