Laccordo dintegrazione recentemente approvato dal Consiglio dei ministri prevede che limmigrato simpegni a conseguire precisi risultati. Entra con 16 crediti già vidimati sul permesso di soggiorno e ne conquista altri sul campo con la conoscenza della lingua, della cultura civica e della vita civile italiana. E con zero punti scatta lespulsione. Il Pd considera troppo severo questo regolamento. E ora sappiamo il perché. Per il semplice motivo che se gli alti papaveri del Pd fossero degli extracomunitari, ben presto sarebbero espulsi dal territorio nazionale. Difatti non sanno proprio dove la lingua italiana stia di casa.
Alla vigilia dellassemblea nazionale del partito, riunita un paio di settimane fa, ci si è arrovellati sul titolo da darle. Non sapendo che pesci pigliare, Enrico Letta ha pensato bene di rivolgersi a una società di comunicazione. Che prontamente ha sfornato uno slogan geniale: «Pd day». Ma qualcuno più sveglio degli altri si è ricordato che era già stato utilizzato da Walter Veltroni, lObama bianco, che se non infila qualche parola dinglese nei suoi discorsi non è contento. In passato aveva già mandato in brodo di giuggiole i residui elettori con i calli alle mani. Come? È presto detto: sfornando i vari «Yes, we can» e «I care», stando rinchiuso felice come una Pasqua in un loft eletto a proprio quartier generale. Ecco che si è allora ripiegato su un «Pd open» che ha lasciato esterrefatti non pochi componenti dellassemblea nazionale.
Richi Levi, che aveva fondato un giornale di stampo britannico che fece un buco nellacqua, saggiamente ha osservato: «Berlusconi, che è un maestro di comunicazione, non si è mai sognato di proporre uno slogan in inglese». Sergio DAntoni, allibito, se nè uscito con parole di sconforto: «Non ci capirà nessuno: dal contadino siciliano alloperaio della Valtellina». Un antiveltroniano doc, non volendo scimmiottare lo smemorato di Collegno, si è poi limitato a constatare che «non è che linglese finora ci abbia portato bene». Ma chi ha dato più fiato alle trombe è stato Pierluigi Castagnetti, che pure indulge nella «green economy». Su Europa si è domandato: «Ma siamo sicuri che il nostro sia un problema di comunicazione? O è questione di contenuti del messaggio? Oppure ancora cè un problema di credibilità? La gente non ci vota perché siamo poco sexy o perché non ci fila o non si fida più?». Per finire in bellezza: mentre «cresce un senso di rigetto nel Paese, la sinistra non riesce ad essere percepita come laltra metà del cielo». Dal canto suo Beppe Fioroni, secondo il quale Franceschini «non conta un cavolo», arriva alla conclusione che il Pd ormai non è altro che una congrega di marziani.
La verità è che il Pd non riesce a comunicare perché non ha nulla da dire. Pirandello docet: è sempre più uno, nessuno e centomila. Procede, si fa per dire, come una mesta brigata di liberi pensatori. Un po di qua e un po di là. Siamo alla felliniana prova dorchestra. Perciò, una volta dato un ordine, nessuno lo esegue in attesa dellimmancabile contrordine di guareschiana memoria. Nella totale assenza didee, per farsi notare si ricorre adesso a parole forti sparate allimpazzata. Così Massimo DAlema manda Alessandro Sallusti «a farsi fottere». Pierluigi Bersani, per non essere da meno, dà della rompicoglioni al ministro Mariastella Gelmini. Dulcis in fundo, il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, definisce «fallofori», ossia portatori di falli, i giovani cooptati nel partito senza particolari meriti.
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