L'obiettivo di scrivere e quello di fotografare

A Parigi in mostra il pantheon degli autori del Novecento ritratti dai grandi maestri: da Avedon a Penn a Doisneau. Fra chi era dietro e chi davanti alla macchina nasceva una stima reciproca

L'obiettivo di scrivere e quello di fotografare

nostro inviato a Parigi

«Per esprimere la propria anima non si ha che il proprio volto» diceva Cocteau e forse per questo metteva sempre in primo piano le mani, lunghe e nervose, dai polsi sottili come quelli di un prestigiatore per il quale il vero è sempre una finzione. «La verità di un uomo è innanzitutto ciò che egli nasconde» diceva Malraux e forse per questo si offriva impeccabile all’obiettivo, ben vestito e ben pettinato, un modo come un altro per dire che sì, tutto era in ordine, ma niente era a posto...

«Portraits d’écrivains» riunisce alla Maison Victor Hugo (sino al 20 febbraio) 200 immagini di novanta scrittori per trenta fotografi e i nomi dei primi, come quelli dei secondi, fanno girare la testa: c’è Joyce e c’è Pound, c’è Montherlant e c’è Kerouac, c’è la Yourcenar e c’è Françoise Sagan e dietro la macchina che li ritrae ci sono Gisèle Freund e Richard Avedon, Irving Penn e Robert Doisneau, e insomma il Novecento che conta all’insegna della scrittura e della luce... A tenerlo a battesimo è il secondo Ottocento che Victor Hugo incarna nella sua veste di esule politico e di poeta civile e che Nadar si incarica di mettere a fuoco: non per nulla la mostra ha come sottotitolo «Dal 1850 ai giorni nostri» e quindi conviene fare un passo indietro prima di lanciarsi avanti.

È proprio l’autore dei Miserabili a capire la modernità del nuovo mezzo come moltiplicatore dell’essere e portatore di un messaggio. Dalle isole del Canale della Manica, dove si è rifugiato per sfuggire all’impero borghese di Napoleone III, «Napoleone il piccolo», come si è affrettato a definirlo, Hugo continua a essere una presenza assente: le foto lo raccontano ora come solitario proscritto su una roccia, ora come poeta visionario con i capelli al vento, ora come vate conscio della sua missione... Nadar s’incarica di codificare queste diverse anime in un’icona dove tutto respira un’aria di grandezza, la barba bianca che non nasconde gli anni, ma li nobilita, il volto serio di chi ha visto tutto e tutto conosce, la forza e la calma propria dei saggi... «Victor Hugo sur son lit de mort», la foto che gli scatta il 23 maggio 1885, ne è il riassunto e insieme l’esaltazione.

«Portraits d’écrivains» mette insieme tre archivi fotografici: quello, appunto, della Maison Victor Hugo, quello delle Collections Roger-Viollet e quello della Maison Européenne de la Photographie. Così facendo il visitatore ha a disposizione non solo le origini del mezzo fotografico (Nadar, Bacot, Cameron) o il suo definitivo affermarsi come forma d’arte (i nomi riportati all’inizio), ma anche quella illustrazione foto-giornalistica - reportages in occasione dei premi letterari, ritratti fatti nelle case editrici e nelle abitazioni dei singoli scrittori - che fino all’invasione del mezzo televisivo fu in pratica l’unico elemento di conoscenza per il grande pubblico. C’è Georges Bernanos, l’autore del Diario di un curato di campagna e dei Grandi cimiteri sotto la luna, immortalato negli uffici dell’editore Plon, la giovane Marguerite Yourcenar a passeggio nel giardino delle Tuileries, una giovanissima Françoise Sagan alle prese con una Saint-Tropez ancora villaggio di pescatori e non epitome della costa Azzurra... Sono foto che in qualche modo servono per far combaciare l’immagine del soggetto con l’idea che di quello stesso soggetto ha il suo lettore: un venticinquenne Montherlant gioca con una spada che ne richiama l’amore per il pericolo, Gide al suo tavolo di lavoro conserva tutta la impenetrabilità di chi si ritiene artefice del proprio destino, Max Jacob che legge e che dipinge in vestaglia e foulard, con tanto di monocolo e di sigaretta accesa, è l’emblema stesso della vita di bohéme che rifiuta ogni decoro borghese...

È tutto un passato che si riaffaccia, ma non bisogna confonderlo con la mera nostalgia di ciò che è stato, il funesto passatismo che ci impedisce di godere il presente e sperare nel futuro. È qualcosa di diverso e lo aveva capito benissimo la Yourcenar: «Quando si parla dell’amore per il passato, bisogna fare attenzione, è dell’amore della vita che stiamo parlando; la vita è molto più al passato che al presente. Il presente è un momento sempre corto, anche quando la sua pienezza lo fa sembrare eterno. Quando si ama la vita, si ama il passato perché è il presente così com’è sopravvissuto nella memoria umana». Sotto questo profilo, le immagini che Allen Ginsberg, improvvisatosi fotografo, scatta dei suoi compagni della Beat Generation, Kerouac, Corso, Burroughs, Bowles, Orlowsky sono il racconto di un’amicizia, un’epoca, un credo umano e letterario nel suo momento più felice, quando tutto sembra sorridere e non ci sono né incubi né dolori.

«Portraits d’écrivains» è anche la storia di una reciproca ammirazione. Robert Doisneau è una scoperta di Blaise Cendrars, lo scrittore avventuriero e senza un braccio che gli fa da sponsor per il suo primo libro fotografico, La Banlieu de Paris; Paul Morand scrive il testo che accompagna le immagini per Paris la nuit di Brassaï; Pierre Mac Orlan fa lo stesso per Belleville Ménilmontant di Willy Ronis... La scrittura di Colette fa tutt’uno con le foto di Iris o, viceversa, sono le immagini di Denise Colomb a raccontarci Antonin Artaud, angelo fulminato sopravvissuto al manicomio: «Cambiava espressione a ogni momento e avevo appena il tempo di inquadrare e scattare. Le sue mani erano altrettanto tragiche del suo viso. Si aveva l’impressione che avesse le manette ai polsi»...

Stima, rispetto e fiducia è ciò che spesso finisce per legare scrittore e fotografo. Genet si offre a Marc Trivier come un pugile in pensione su una panchina, gli occhi chiusi di Pound colti da Richard Avedon rimandano a un settantenne appena tornato in libertà e che ha visto troppo per voler vedere ancora qualcosa...

Ed è lo stesso Avedon ad avvertirci che «un ritratto non è una somiglianza. Quando un’emozione o un fatto si traduce in una foto, cessa d’esser tale e diviene un’opinione. Tutte le foto sono esatte, ma nessuna è la verità».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica