L'Ue obbliga Letta a svendere gli asset del Tesoro. Ma Germania e Francia non toccano i propri tesori

L'Ue ordina, Letta obbedisce. Il Tesoro si prepara a privatizzare. Ma Germania e Francia si tengono stretti i propri beni

L'Ue obbliga Letta a svendere gli asset del Tesoro. Ma Germania e Francia non toccano i propri tesori

Qualche giorno fa il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, è tornato a tirare le orecchie al premier Enrico Letta ricordandogli che "l'Italia deve rispettare i parametri" imposti da Bruxelles. La strada per farlo deve passare, sempre stando alle ricette dell'Ue, è la privatizzazione degli asset del Tesoro. E così ieri, in vista del confronto con l'Eurogruppo di oggi al quale tocca al ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni difendere la legge di Stabilità, il Consiglio dei ministri ha messo l'acceleratore per svendere al più presto le partecipazioni del Tesoro. Si va dalle quote dell'Eni alla holding delle reti, un piano che è solo un primo passo verso un'operazione molto più complessa. "Ieri c’è stato un primo pacchetto di misure riguardo le privatizzazioni - ha assicurato Letta all’assemblea della Federcasse di Roma - continueremo nelle prossime settimane e mesi". In realtà, tra i grandi dell'Eurozona, l'Italia è l'unico Paese costretto a portare avanti una tale operazione. Germania e Francia, invece, se ne tengono alla larga.

Anziché tagliare in maniera cospicua la spesa pubblica improduttiva, i cda delle minicipalizzate e le Province, proprio come farebbe un diligente padre di famiglia quando le entrate si riducono a fine mese, il tandem Letta e Saccomanni hanno deciso di mettere mano ai gioielli del Belpaese. Più che a incidere sul moloch del debito italiano da oltre 2mila miliardi di euro, l'annuncio del premier serve infatti a fare il "compitino" che l’Ue gli ha assegnato nella speranza di riuscire a richiedere la clausola sulla flessibilità degli investimenti bocciata nei giorni scorsi da Bruxelles. Nel piano del governo, anticipato oggi dal Corriere della Sera, saranno interessate a vario titolo otto società: Eni, Stm e Enav per le partecipazioni dirette e Sace, Fincantieri, Cdp Reti, gasdotto Tag e Grandi Stazioni per quelle indirette. Nelle casse del Tesoro dovrebbe arrivare circa metà della cifra totale mentre il resto andrà a sostenere il patrimonio della Cdp, la quale peraltro aveva già programmato la cessione parziale in mani private delle società in questione. Ma i benefici per il dicastero di via XX settembre saranno comunque indiretti: la Cassa potrà così rafforzare il capitale, messo sotto pressione per via delle numerose misure avviate o da avviare a sostegno dell’economia sotto forma di impieghi alle imprese, infrastrutture e mercato immobiliare. "A Letta e Saccomanni piace vincere facile - ha commentato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta - a vendere Eni siamo tutti capaci. Ma non dicono che non ci saranno più i dividendi. Difficile vendere le caserme... lì bisogna essere più bravi".

Basta leggere il piano redatto da Letta & Co. per accorgersi che più che di privatizzazioni si dovrebbe parlare di dismissioni non tanto per far cassa appunto ma per garantire maggiore potere di negoziato in sede internazionale. L'Eni, che ha già deliberato un buy back sul 10% del capitale, cancellerà le azioni in portafoglio facendo così accrescere la quota del Tesoro del 3% che verrà poi così ceduto a privati. Si avrà una cessione parziale della quota anche per Stm dove il ministero dell’Economia è presente attraverso la holding che controlla in maniera paritetica con il fondo strategico francese. Ancora da chiarire invece le modalità di dismissione per Enav di cui verrà ceduto solo il 40%. Quanto ai gioielli in mano alla Cassa depositi e prestiti, per Fincantieri si era prospettata la quotazione su Piazza Affari di un 40% mentre è ancora incerta la modalità su Sace per la quale è prevista la cessione del 60%. Sul mercato andrà invece il 50% di Cdp Reti e Tag, mantenendo così il controllo pubblico. Certo l’apertura a soci privati garantirà alle società (e i mercati in cui operano) maggiore trasparenza ed efficienza con effetti benefici generali, ma l'operazione rischia di rivelarsi un pericoloso boomerang. Per dirla con le parole di Daniele Capezzone, presidente della commissione finanze della Camera, è come vendere "l’argenteria agli usurai".

Il diktat delle privatizzazioni non vale per tutti. Non solo Germania e Francia non hanno mai toccato i propri asset né hanno intenzione di farlo nell'immediato futuro, ma appena una società provare a comprare un gruppo che ritengono essere strategico per il Paese, si chiudono a riccio e ne vietano la vendita. Di partecipazioni i due colossi dell'Eurozona ne hanno eccome. La Francia, per esempio, possiede il 90% di Areva (multinazionale francese che opera nel campo dell'energia, specialmente quella nucleare), oltre l'84% di Électricité de France e il 15% di Renault (facendone così il primo azionista). E ancora: il 16% di AirFrance-Klm e il 27% di France Telecom sono statali. La Germania non è da meno.

Il Tesoro tedesco ha il 17% di Commerzbank e il 15% di Deutsche Telekom, mentre la Bmw è in parte della regione della Baviera. Insomma, ancora una volta i vincoli, a cui l'Unione europea lega mortalmente l'Italia, non valgono per quei Paese che a tavoli di Bruxelles fanno il bello e il cattivo tempo.

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