M adrid, che produce 49 festival di cinema a stagione, più quelli di teatro e danza, ha deciso questanno di esportare una parte della sua vasta produzione interna nelle più importanti città europee grazie all'iniziativa «Made in Mad»: ovvero dieci giorni per promuovere e diffondere la cultura della capitale spagnola alle altre europee. Dopo Barcellona (2007) e Berlino (2008), il 2009 sarà l'anno di Milano, e, dal 12 al 21 ottobre, in vari spazi della città - dal Teatro Strehler al Conservatorio, dallo Spazio Forma ad Assab One alla Fondazione Arnaldo Pomodoro - si esibiranno, compagnie, associazioni e artisti visivi madrileni (info. www.turismomadrid.es, www.piccoloteatro.org).
Ad inaugurare la rassegna al Piccolo, presentata i giorni scorsi nella capitale spagnola, sarà l'attrice che più di tutte incarna lo spirito intraprendente e dinamico dei madrileni, ovvero Carmen Maura, cara al pubblico internazionale per aver interpretato il ruolo di protagonista nei famosi film del regista Pedro Almodovar, come «Matador», «Donne sullorlo di una crisi di nervi», «La legge del desiderio», «Volver» al fianco di Penelope Cruz.
A Milano sarà proiettato il film «La Comunidad» («Intrigo all'ultimo piano», 2000), il film di Alex de la Iglesia, che ha valso all'attrice spagnola il premio Goya e la Conchiglia d'Argento al Festival di San Sebastian come migliore protagonista. A seguire, si rivolgerà un omaggio all'attrice stessa per celebrare una carriera costellata di successi.
Stupisce la spontaneità con cui è nata la sua vocazione di attrice: figlia del politico Antonio Maura, dopo aver ricevuto una rigida educazione cattolica, si laurea in letteratura francese e inizia a svolgere la professione di interprete presso la galleria d'arte che lei stessa amministrava. Si sposa e ha due figli. Dopo un periodo in cui ha fatto la madre a tempo pieno, decide di iniziare a studiare recitazione e si esibisce prima nei teatri di cabaret imitando Marilyn Monroe, fino all'incontro, negli anni Settanta, con Almodóvar (1978), con cui realizza «Folle... Folle... Folleme Tim!», e due anni dopo, «Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio».
Un incontro, quello con Almodóvar, che possiamo definire fondamentale per la sua carriera. Quanto è importante la carriera per unattrice come lei figlia della società aristocratica spagnola?
«Devo dire che non considero la carriera la cosa più importante. Per me fare un film è un regalo, è bello realizzare uno spettacolo. Per questo ho fatto di tutto: dal teatro, alla televisione, al cinema. Fin dall'inizio, ho voluto semplicemente fare: non avevo un agente, forse proprio per questo ho cominciato con Almodóvar. Lui, allora, era agli inizi. Probabilmente un agente me lo avrebbe sconsigliato, ma io ho un angelo custode che mi guarda. Almodóvar non era conosciuto, e non avevamo soldi, facevamo tutto solo per passione».
Insieme avete costruito un percorso entusiasmante. Comè lavorare con un regista funambolico come Almodóvar?
«Pedro fa le cose esattamente come le vuole, si sente moltissimo il capo: per me è facile lavorare con lui perché lo capisco al volo e quindi riesco a fare sempre ciò che ha in mente. Ma penso sia molto più difficile per gli attori che lo conoscono meno...»
Perché ha scelto di portare a Milano un film realizzato con Alex de la Iglesia?
«Perché in questo momento della mia carriera preferisco Alex, ho fatto troppi film con Pedro Almodóvar: voglio mettermi alla prova confrontandomi con qualcosa di diverso».
Come considera il teatro e il cinema italiano? Il fatto di venire a Milano potrebbe aprire qualche possibilità di lavoro anche da noi?
«Certo, come ho detto prima io sono aperta ad ogni esperienza professionale. Finora in Italia sono solo venuta a presentare lavori realizzati altrove, non conosco direttamente il modo di fare regia di qualcuno in particolare».
LItalia potrebbe aprire dunque una nuova sfida. Le novità la esaltano?
«Sì, a me piace parlare e lavorare con tutti. Leggo tutto ciò che arriva in casa mia e rispondo sempre; ho accettato lavori con personaggi completamente diversi da me. In Francia, per esempio, abbiamo vinto il premio Cesar quest'anno con un giovane regista completamente sconosciuto di cui avevo molto apprezzato il progetto tanto da lavorare con lui».
È partita dal cabaret (con le imitazioni di Marilyn Monroe) e anche nel cinema ironia e comicità contraddistinguono il suo stile di recitazione.
«È vero, teatro e cabaret mi hanno insegnato moltissimo: è molto più difficile, è una condizione di recitazione molto più dura. Il tempo della commedia è breve. D'altra parte far ridere la gente è troppo bello. È il dettaglio che fa scoppiare la risata: amo mischiare il sottile, il sensibile, il profondo, con il comico, e adoro quando il pubblico non sa se ridere o piangere.
«Da Madrid a Milano ma senza Pedro»
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