RomaLa maggioranza si rinforza intorno a Silvio Berlusconi sul terreno sensibile della magistratura. La Camera dei deputati accoglie la richiesta della giunta per le Autorizzazioni a procedere e dispone che gli atti sul caso Ruby tornino a Milano. Viene così rispedita al mittente, i pm che indagano sul premier, la richiesta di perquisizione degli uffici del tesoriere di Berlusconi, Giuseppe Spinelli, con la motivazione che la competenza spetta al Tribunale dei ministri.
Ma il dato politico, al di là dei risvolti giudiziari, è che la maggioranza ha ottenuto 315 sì, contro 298 no, staccando lopposizione di 17 voti, e che il Terzo Polo dà segnali di sgretolamento. Si consolida così il margine tra forze governative e minoranze, diventato sottilissimo con il voto della mancata sfiducia del 14 dicembre, quando lo scarto fu di appena tre voti. Rispetto a quel giorno lopposizione ha perso 13 appoggi, subendo molte misteriose assenze in una seduta che si è proposta come lennesima fiducia a Berlusconi, anzi, una superfiducia, dato che si discuteva della sua persona.
Anche Umberto Bossi, sempre polemico sulle vittorie risicate, e non certo di buon umore per il suo federalismo, ha applaudito: «Il governo per adesso va avanti, i numeri di questa votazione sono buoni». Berlusconi, chiamando Maurizio Paniz, il pidiellino autore dellintervento finale, avrebbe detto: «Sei stato bravo Maurizio, abbiamo respinto lattacco dei pm».
Le forze di maggioranza contano su un uomo in più rispetto allinfuocata seduta prenatalizia, anzi, su due, calcolando che ieri Berlusconi non ha votato. Il primo è Silvano Moffa, lex finiano tra i leader di Iniziativa responsabile. Laltro voto è quello di Aurelio Misiti, che ieri, schierandosi con il Pdl, si è dimesso dallMpa di Lombardo, seppure «per altri motivi». Unaltra sorpresa, non del tutto imprevedibile, è stata lastensione di Luca Barbareschi. Più che una sorpresa, un giallo. Il finiano risulta essere lunico astenuto: «Sia chiaro che ho votato con Fli - ha dichiarato in Transatlantico - Cè stato un contatto elettrico nel pulsante di voto». E allora è davvero diabolico il pulsante di Barbareschi.
Il terzo scossone per il Terzo Polo è stata lassenza di Roberto Rosso, anche lui finiano, piemontese, uno degli ultimi arrivi per Fini, transfuga del Pdl. Segnale chiaro. Tolti Rosso e Barbareschi, rispetto al 14 dicembre non tornano ai conti dellopposizione sette assenze (Misiti si era astenuto). Quattro defezioni sono giustificatissime: si tratta di una «mamma», Giulia Cosenza, e di tre malati. Ma si scopre per esempio di unaltra mancanza «che parla» nel Terzo Polo, ed è quella di Ferdinando Latteri, deputato dellMpa.
Non erano poi presenti due liberaldemocratici (Daniela Melchiorre ufficialmente in missione e Italo Tanoni), i due autonomisti dellSvp Brugger e Zeller, lUdc Volontè e il rutelliano Gianni Vernetti, entrambi allestero. Ha votato con Fli invece Giuseppe Consolo. Ma avvicinandosi a Paniz dopo lappassionato intervento del deputato del Pdl, Consolo ha confidato: «Come sai io non sto con voi, ma sei stato bravo, è stata una difesa perfetta». Contestatissimo dalle minoranze, Paniz ha difeso la buona fede di Berlusconi sullidentità della marocchina Karima El Mahroug, alias Ruby, e ha sottolineato come linchiesta della procura sia costata «un milione di euro» con «150mila intercettazioni telefoniche» disposte.
Per il resto è stata una seduta scenografica, con molti deputati dellopposizione che hanno sfoggiato il nastrino bianco al petto (pashmina candida per Rosy Bindi) simbolo del neofemminismo di sinistra contro Berlusconi. Quattro deputati, di Pd e Terzo Polo, hanno scandito in aula la parola «bunga-bunga», tra questi addirittura Rocco Buttiglione, che citando Il Principe ha ironizzato su se stesso: «Machiavelli, che a differenza di me non era un bigotto...».
Molto duri gli interventi di Antonio Lo Presti (Fli) e Dario Franceschini (Pd): «Lei sta facendo del male allItalia!», ha gridato Franceschini a un assente Berlusconi. Fuori da Montecitorio, alcuni attivisti del Popolo Viola hanno srotolato uno striscione con la scritta «dimissioni», ma mai come ieri, in un voto così delicato, la maggioranza e il premier hanno trovato forza.
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