
Uno Stato forte, da un detenuto, ottiene l'espiazione della pena e la massima collaborazione per inchiodare l'organizzazione di cui ha fatto parte, soprattutto se questa organizzazione si chiamava Cosa Nostra. Se si è d'accordo su questo, si dovrà accettare che persino un detenuto come Giovanni Brusca venga liberato dopo 25 anni di carcere, e, soprattutto, dopo essersi dimostrato uno dei collaboratori di giustizia più importanti di sempre, questo per aver contribuito alla cattura dei vertici della mafia corleonese e per aver disvelato delle verità giudiziarie su cui erano stati presi dei granchi colossali.
È questa la base da cui partire. Poi vengono le emozioni, il risentimento, l'umano desiderio di rivalsa, le contraddizioni di un vocabolario tra il giuridico e il confessionale che ancora parla di «pentiti», «ravvedimento operoso», «espiazione», «perdono» e altri equivoci, poi insomma, viene Giovanni Brusca, il boia di Capaci, il mostro (ex) mafioso che ha trucidato una quarantina di persone e che ha partecipato a sei stragi, compresa quella che uccise Giovanni Falcone (nella foto).
Brusca è l'uomo che fisicamente azionò il telecomando che provocò la strage del maggio 1992, quello che rapì un ragazzino di 13 anni e che lo tenne prigioniero per due anni in un porcile prima di scioglierlo nell'acido, un personaggio specializzato nello strangolare, appunto sciogliere i cadaveri nell'acido o carbonizzarli su apposite graticole. Ergo, è normale e comprensibile rimanere perlomeno perplessi: Brusca ha passato quattro anni di libertà vigilata ma ora è libero (da ieri) per fine pena, calcolata con gli sconti riconosciuti per la sua collaborazione. La notizia è questa.
Già molte volte, in passato, Brusca aveva chiesto gli arresti domiciliari in una località protetta sinché la Procura Nazionale Antimafia gli aveva addirittura detto di sì, perché, a suo dire, il personaggio si era «ravveduto»: e ci risiamo col linguaggio ambiguo. Varie volte, però, la Procura generale della Cassazione aveva risposto di no.
Detto questo, Brusca ha fatto delle rivelazioni dimostrabili (e dimostrate) che ha raccontato direttamente nei processi e in un libro del 1999; ha confermato il ruolo dei vertici di Cosa Nostra nella pianificazione ed esecuzione delle stragi del 1992, ha rafforzato molte delle accuse nei processi antimafia degli anni '90 e 2000, confermando la struttura piramidale di Cosa Nostra e le responsabilità dei capi, ha ammesso le proprie orribili responsabilità nel rapimento e omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio di un altro collaboratore di giustizia) e non ha solo confermato delle tesi instradate in fase processuale, ma ha permesso di aprire nuove indagini e identificare colpevoli sconosciuti.
Poi sì, ha detto anche cazzate: sollecitato non si sa da chi, Brusca (fuori tempo massimo, e senza dimostrare nulla) ha cercato anche di inguaiare Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri oltre al magistrato Giuseppe Pignatone. Ma il suo contributo ha permesso di scrivere la storia (vera e non solo giudiziaria) di alcuni tra i più drammatici decenni della Repubblica.
Poi è nelle cose il risentimento più inconfessabile nei suoi confronti: qualche giornale andrà senz'altro a chiedere l'opinione di qualche parente, fratello, figlio di vittime: fa parte del gioco mediatico. In uno stato di diritto saranno opinioni rispettabili come altre.