
C'è un'area della politica, quella di Forza Italia, che è sempre stata in prima fila nelle battaglie sulla giustizia e ha maturato un grande fiuto nel capire che aria tira. È gente che ode subito in lontananza il tintinnar di spade ed è consapevole come il referendum contro la riforma della giustizia che la sinistra, a partire del pd, ha intenzione di combattere a fianco della magistratura politicizzata, si trasformerà in una cruenta battaglia campale. «Quell'avviso a Matteo Ricci su una menata - spiega Piergiorgio Cortellazzo con l'esperienza di un imprenditore edile finito in Parlamento - è stato un avvertimento al Pd delle toghe rosse per spingerlo ad impegnarsi di più contro la riforma. Poi però quando ci sarà l'armageddon con il referendum se la prenderanno con noi. E saranno guai. Bisognerebbe rivedere subito la custodia cautelare, limitarla ai reati di sangue, perché la storia insegna che un imprenditore che viene messo dentro è pronto firmare qualsiasi cosa per uscire». Non meno preoccupato è il probabile candidato del centrodestra in Puglia, Mauro D'Attis. «Qui - osserva - c'è uno scontro generale, anche tra magistrati di destra e di sinistra. Alla fine in ossequio all'impatto mediatico saranno comunque sempre i politici a passare dei guai».
I reduci di cento battaglie sulla giustizia nell'epoca di Berlusconi sono come i soldati di Napoleone: annusano prima degli altri la polvere da sparo dei cannoni, pardon gli avvisi di garanzia e le inchieste che accompagneranno la «guerra» che si svilupperà sui referendum. Del resto il discorso di Franceschini dell'altro giorno al Senato è stata una vera dichiarazione di guerra al governo e il referendum è lo strumento scelto per dare la spallata.
E, appunto, «guerra» è la parola che usa non a caso Carlo Nordio in vena di confidenze alla buvette di Montecitorio. «Io non so se quanto sta accadendo - spiega il ministro della giustizia - sia un warning per spingere il Pd ad essere più duro sulla riforma. Ho letto le intercettazioni delle inchieste di Milano e mi sembrano sciocchezze, non vedo soldi, non c'è un tubo non so come i magistrati potranno motivare addirittura gli arresti. Detto ciò non capisco perché Franceschini abbia fatto quell'intervento al Senato. Mi ha impressionato la sua idea di impostare sul referendum una campagna squisitamente politica. Loro puntano a far cadere il governo come avvenne con Renzi, lanciando una campagna violenta non su argomenti tecnici ma ideologici. Una vera e propria guerra».
Una guerra con una battaglia, quella sul referendum, che diventa decisiva. «Io non so - ragiona Nordio - se questo conflitto il Pd lo scatena per assecondare i 5stelle, ma se si fa una guerra certo noi possiamo perderla ma possono perderla anche loro. E se la magistratura si accoderà a una campagna di questo tipo, ad una campagna violenta ed ideologica, è chiaro che in caso di sconfitta andrà incontro a delle conseguenze, a delle ripercussioni. Sono i costi della sconfitta. Ecco perché tutti avrebbero da guadagnare da una campagna sul referendum pacata, riflessiva, che valorizzi il confronto e non lo scontro ideologico». Quello che però più colpisce in queste giornate è la valutazione che esponenti di destra e di sinistra fanno di queste inchieste, da quella di Milano a quella che coinvolge Matteo Ricci: i primi ci intravvedono dietro una valenza politica; i secondi si limitano alla solidarietà agli indagati o altrimenti sono muti, hanno paura. In questa logica il capogruppo dei deputati di Fdi, Galeazzo Bignami, coglie un punto. Come si fa a non vedere - osserva - che i bersagli di quelle inchieste sono tutti di area riformista? Tutti quelli che potrebbero essere potenziali interlocutori in questo confronto vengono fatti saltare in aria».
Già, nel mirino c'è la corrente del Pd che in passato aveva anche
espresso giudizi positivi sulla separazione delle carriere. Solo che di fronte al duello che si preannuncia non sono consentiti distinguo, terze posizioni o stai di qua o di là: à la guerre come à la guerre direbbe qualcuno.