Il "Manga" fra amore, iperboli e ananassi

Pubblicate le lettere carnali e ricercatissime che lo scrittore inviò a Ebe Flamini

Il "Manga" fra amore, iperboli e ananassi

Giorgio Manganelli (1922-90), lo conosciamo tutti. Fu una delle intelligenze letterarie-editoriali più sfavillanti del nostro Novecento: romanziere, critico letterario, neo-avanguardista, insegnate, collaboratore Rai, un ufo della scrittura e un mammifero da biblioteca, e anche mandrillesco seduttore, per quanto accasato e sovrappeso. Ebe Flamini (1917-92), invece, non è così nota. Fece la Resistenza, partecipò alla fondazione del Movimento di collaborazione civica, fu segretaria per molti anni di Ignazio Silone, amica di Giuliana Benzoni, «Gran Dama dell'antifascismo italiano», una la cui ava era madre dell'Innominato manzoniano, ossia di Francesco Bernardino Visconti. Fu nella sua villa di Sorrento, «La Rufola», che Giorgio e Ebe si conobbero. Da lì nacquero due cose. Uno smanioso legamento amoroso e un esuberante carteggio letterario. Il primo destinato a essere rimpianto, il secondo che rischiava l'oblio. Se non fosse che quelle lettere sono state ritrovate tempo fa in una scatola dalla nipote di Ebe, la quale le ha consegnate al gran custode dell'eredità culturale dello scrittore, Salvatore Silvano Nigro, il quale oggi le pubblica con una sua elegante e prefazione: Giorgio Manganelli, Mia anima carnale (Sellerio).

Le lettere risalgono agli anni compresi fra il 1960 e il 1973. Quelle del «Manga» sono venti, e qui le leggiamo tutte, in versione integrale; quelle di Ebe sono dodici (di cui Salvatore Silvano Nigro cita alcuni brani nelle note). Quando tutto inizia lui ha 38 anni, lei 43. Lei è single. Lui era già stato sposato, e parallelamente alla relazione con Ebe ne ha un'altra con l'anglista Viola Papetti (con relativo carteggio...).

Ma la cosa più bella delle lettere non è neppure la storia carnale, lussuriosa, ma la scrittura animalesca, lussureggiante. Le lettere - si capisce immediatamente - furono scritte sì a Ebe, ma pensando ai posteri: sono pezzi di letteratura (e infatti Manganelli conservò le copie carbone nel suo archivio, che saccheggerà per scrivere Hilarotragoedia, uscito nel 1964).

Affatto realistiche, sono lettere visionarie, metaforiche. Vortici stilistici e passaggi gaddeschi, fra iperboli, sogni, neologismi, invenzioni «butirrose»: Manganelli si paragona a «un ghiottone» davanti a un banchetto - la sua Ebe - ma noi ci abbuffiamo della sua prosa. Ecco un assaggio.

«Cara la mia cotogna, tu mi sembri un morbido, sugoso frutto autunnale, di quelli che abbisognano di gran tempo per maturare tutti i loro succhi intrinseci, che vivono la loro estate assieme all'autunno, quei frutti deliziosi, voluttuosi, mielati, goccianti zuccheri interiori che hanno una lunga, afra e lazza (acerbetta) adolescenza, quando erano piccoli e duri, e legavano i denti. Ora sei nespola, ananasso, pompelmo e cotogna. E io ti voglio mangiare, ammannita sul desco delle tue lenzuola».

L'irresistibile amore carnale e l'anima innamorata della scrittura.

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