Gianandrea Zagato
«Senso di responsabilità e realismo consiglierebbero di fare un passo indietro». Nicola Pasini non ha dubbi: i dirigenti del centrosinistra milanese sono inadeguati perché «incapaci di intercettare le aspirazioni della città». Valutazione che il direttore del centro di formazione politica della Margherita fa con i numeri delle amministrative alla mano: lUnione ha perso 71mila elettori dalle politiche di aprile, lUlivo è crollato dal 28 al 22 per cento a vantaggio della lista Ferrante e la Margherita dentro il listone va ancora peggio perché passa da sei a quattro consiglieri comunali.
Quadretto che, bando alle ciance, si traduce «nellincapacità» del ceto politico locale di essere «allaltezza delle sfide presenti e future di Milano». O, per dirla con Battista Bonfanti, «si è tornati con i piedi per terra»: «È ora che i gruppi dirigenti del settentrione affrontino senza paure e tentennamenti il problema di una ristrutturazione» fa sapere il segretario regionale della Margherita.
Appello per scrollarsi di dosso la sindrome dello sconfittismo, del buco nero che a Milano vede il centrosinistra allopposizione da tredici anni e che, con la vittoria del centrodestra, sposta lillusione di conquistare Palazzo Marino di altri cinque anni. «Serve una riflessione serena sulla coalizione, su cosa pensiamo di fare» avverte Ettore Martinelli, neoconsigliere comunale ds: «Confronto interno per non essere sempre costretti a cercarci un candidato allultimo momento. Sì, Milano aveva voglia di politica e noi gli abbiamo offerto Ferrante». Dichiarazione che non è solo lennesima conferma di una candidatura sbagliata - «tra laltro, la lista civica di Ferrante non è stato un valore aggiunto per la coalizione, come mostra il risultato elettorale» - ma soprattutto lammissione che è mancata una discussione «politica interna». Dibattito con lamaro in bocca «per una partita che sapevamo difficile ma proprio per questo occorreva uno scatto in più» aggiunge per la sinistra ds Paolo Matteucci.
«Scatto in più», per quel traguardo non raggiunto in cui Franco Mirabelli davvero credeva, «potevamo vincere» è il leitmotiv di ogni nota del segretario provinciale ds. «Il centrosinistra ha bisogno di una discussione seria sul perché non sia riuscito a motivare il proprio elettorato. Questo solo è il punto di partenza corretto e non le classifiche su chi è più o meno riformista» sostiene Mirabelli. Annotazione di chi si prepara al futuro partito democratico che secondo lex sindaco Carlo Tognoli potrebbe «essere uno stratagemma per eludere i problemi, una fuga in avanti dei Ds per evitare il passaggio dalla socialdemocrazia». Rischio azzerato se «si danno risposte e idee in contrapposizione agli equilibrismi, finzioni e mediazioni defatiganti» controbatte Roberto Caputo della Margherita: «Strumento politico nuovo di una sinistra di governo moderna, dinamica e pragmatica. E si ricomincia da Filippo Penati, simbolo di unamministrazione di sinistra vicina alla gente». Istantanea di quellidea lanciata dalleuroparlamentare ds Antonio Panzeri che parla di «partito vero, con forte radicamento territoriale e regionale» e non di «club culturale».
E mentre si attende ancora di parlare di strategia, di politica e del destino di Milano, Pierfrancesco Majorino, segretario cittadino ds, chiede alla Margherita «subito un gruppo unico in Comune». Segnale che «la quarta sconfitta consecutiva del centrosinistra non insegna nulla» chiosano dalla Margherita. Ah, naturalmente, nessuno nella dirigenza dellUnione ha preparato la sua lettera di dimissioni.
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