Il "Meazza" non si tocca. Milano tuteli il suo passato

Si torna a discutere su alcune opere simbolo della città. Inclusa la "Pietà Rondanini"

Il "Meazza" non si tocca. Milano tuteli il suo passato

Grave è il tentativo di intimidazione del sindaco di Milano Giuseppe Sala che, per impedirmi di dire la verità sul piano politico e sul piano dei miei compiti governativi, minaccia di «scrivere al Presidente del Consiglio per capire con esattezza quali sono le deleghe del sottosegretario Sgarbi», con il subdolo riferimento al fatto che i «vincoli» li mette la Soprintendenza. Incredibile caso di ignoranza perché, come tocca a lui sindaco, la politica indica gli atti di indirizzo e ha il dovere di segnalare agli uffici competenti irregolarità e omissioni. Dovrebbe bastargli, nella sua proterva volontà di impedirmi di dire quello che pensano molti milanesi e anche molti esponenti della sua maggioranza rispetto al progetto criminale di abbattere lo Stadio Meazza a San Siro. Perfino Berlusconi ha battuto un colpo e, a seguire, Massimo Mucchetti, autorevole esponente del Pd, Massimo Moratti e Bruno Tabacci che non sono di centrodestra.

L'abbattimento dello Stadio Meazza è, oggettivamente, un crimine. Io non faccio «esternazioni», esprimo pensieri che rappresentano la condizione naturale delle funzioni ministeriali rispetto alla tutela e alla conservazione. Mia guida è la legge; e le mie denunce riguardano la soggezione di alcuni Soprintendenti alle proposte irricevibili del Comune, a partire dall'intervento simbolico di denuncia del processo distruttivo della memoria con la nuova e opportunistica collocazione della Pietà Rondanini, fondata sulla ignoranza. Conosco bene le procedure e anche i possibili rilievi e posso anche immaginare i rilievi della Corte dei Conti. Ma è assolutamente indiscutibile - ed è un principio che Sala mostra di non capire - che l'allestimento della Pietà Rondanini, concepito dagli architetti del gruppo BBPR, ha un significato sacro nella museografia moderna, almeno quanto gli esemplari interventi di Carlo Scarpa al Castelvecchio di Verona. Sono nozioni elementari che sfuggono a Sala, e vanno ribadite perché non si ripetano. Sono principi, non ordini e neppure questioni polemiche, e valgono per tutta l'architettura del '900, che ha la sua espressione più alta in Italia proprio a Milano.

Il tema è esattamente questo: i BBPR dissacrati nel molesto intervento di De Lucchi per la Pietà Rondanini sono gli stessi della Torre Velasca. I grandi Gianluigi Banfi, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers sono gli architetti della Torre Velasca, della Corte ellittica in via Maddalena 9 a Milano degli edifici Ina Casa a Matera e a Cesate. Tra i primi loro interventi a Milano ci sono il restauro e la sistemazione del Castello Sforzesco da cui sono state recentemente asportate e vendute illegalmente alcune panche, nella generale mancanza di rispetto per la storia che ha portato alla distruzione dell'allestimento mirabile della Pietà Rondanini. Tutto questo non riguarda le mie deleghe, ma il rispetto della legge. Forse Sala ignora che esiste un regime di autotutela per il quale se un sovrintendente ha autorizzato o ha ceduto alle richieste di un ente locale, contravvenendo ai principi della tutela, dovere del politico è richiamarlo all'ordine, magari anche con un'azione penale. Non sfuggirà infatti a Sala che oggi la città di Milano è priva del Soprintendente alla Archeologia, ai monumenti e alle Belle Arti. Il che non vuol dire che la città sia legibus soluta.

Ed ecco la ragione del mio intervento, non per «apporre vincoli» ma per dichiarare che essi esistono, e che le commissioni che li hanno parzialmente revocati non possono impedire che un nuovo e corretto orientamento politico richiami a quei principi, molto semplici. Li riassumo: sia nel caso dello Stadio Meazza sia nel caso della Pietà Rondanini si tratta di beni pubblici, per i quali vige (ed è dovere di un sottosegretario ricordarlo) l'articolo 10 comma 1 e comma 2 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio del 6 luglio 2001 n. 137 : «1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. 2. Sono inoltre beni culturali: a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico».

Sfugge inoltre al sindaco dedito all'ammaestramento e all'addomesticamento di sovrintendenti, l'articolo 11 che dichiara illegittimo sia l'intervento contro Michelangelo, sia l'ipotesi accarezzata da commissioni benevole di abbattere lo stadio. «1. Sono assoggettate alle disposizioni espressamente richiamate le seguenti tipologie di cose: a) gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista, di cui all'articolo 50, comma 1; b) gli studi d'artista, di cui all'articolo 51; c) le aree pubbliche di cui all'articolo 52; d) le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, a termini degli articoli 64 e 65, comma 4; e) le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico, a termini dell'articolo 37».

Chiaro, no? Nella visione minacciosa di Sala, il sottosegretario dovrebbe sonnecchiare o consultarsi con il Soprintendente assoggettato o inesistente, invece di fare quello che la legge impone, per evitare il ripetersi di situazioni di prepotenza e illegalità alle quali l'amministrazione di Milano, anche al tempo del sindaco Moratti con Direttore generale Sala, ha mostrato di indulgere: penso all'abbattimento criminale dello stabilimento dell'Alfa Romeo e di altri edifici del centro storico, metodo che Sala condivide con gli speculatori che hanno cancellato già al tempo della Moratti una parte del volto novecentesco di Milano. La ridicola pretesa, per isolarmi o azzittirmi, di chiedere al Presidente del Consiglio quali siano le mie deleghe è la prova della mancanza di rispetto non per il governo, ma per la legge, da parte del sindaco Sala che non credo otterrà una risposta né soddisfacente per lui né punitiva per me. Infatti, oltre ai tanti consensi che ho ricevuto su un tema sensibile come il Meazza, ne leggo uno del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, molto vicino a Giorgia Meloni: «Dopo mesi di silenzio omertoso da parte del governo di centrosinistra che ha tollerato, con l'ex ministro Franceschini, che si mettesse in discussione uno dei simboli dell'architettura italiana, oggi constatiamo che il governo, attraverso l'autorevole voce del sottosegretario Sgarbi, chiude ogni simile scenario. Il Meazza non si tocca perché c'è un vincolo in quanto edificio storico».

Sala chiederà al Presidente del Consiglio, a libertà vigente per il diritto di opinione e responsabilità ministeriale (cosa c'entrano le deleghe?) nei confronti della legge, quali siano i confini delle

competenze del vicepresidente della Camera? Faccia pure. Io gli ripeto: il Meazza non si tocca. E chiederò al nuovo Soprintendente di procedere in «autotutela» rispetto a posizioni assunte da deboli funzionari in precedenza.

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