La Merkel in Israele: una sfida lanciata alla storia d’Europa

La visita del cancelliere tedesco Angela Merkel in Israele si è conclusa in un tripudio di dichiarazioni di amicizia e di gesti «storici»: discorso in tedesco al parlamento di Gerusalemme; la seduta congiunta dei due governi; impegno a difendere Israele dalla minaccia dell'Iran; comprensione della posizione israeliana nei confronti dei palestinesi e di Hamas. Il cancelliere tedesco ha allargato la collaborazione con Israele. Ha parlato della «vergogna» e non solo della responsabilità della Germania per la shoah. Affermando che «ogni minaccia per lo stato ebraico è una minaccia per la Germania» ha preso un impegno che, oltrepassando i limiti della politica, tenta di ristabilire il rapporto speciale fra tedeschi ed ebrei che il nazismo ha distrutto.
Se sia possibile un risveglio dalle ceneri un passato che lascia ancora troppe ferite aperte è difficile da prevedere. Angela Merkel ha cercato di porre la parola fine al tentativo dell'antisemitismo tedesco - con l'appoggio attivo o passivo di quello europeo - di cancellare la presenza ebraica in Europa. Ma ha anche tentato di rianimare quella simbiosi ebraica germanica senza la quale Israele non esisterebbe né la Germania potrebbe ritrovare il ruolo di leader in Europa.
Il sionismo è nato in terra culturale e ideologica tedesca. Theodor Herzl, il suo fondatore, faceva parte di quella borghesia ebraica in Ungheria che parlava, operava, pensava in tedesco. Il suo primo sostenitore politico fu il Granduca di Baviera; Herzl sperò di costruire uno stato «rifugio» per ebrei perseguitati grazie al quasi protettorato che la Germania tentava di estendere sul «malato» impero ottomano.
Solo dopo il suo inconcludente incontro con l'Imperatore Guglielmo II nel corso del trionfale viaggio imperiale in Palestina si rese conto dell'impraticabilità di questa idea. Continuò però a credere che la lingua adatta al futuro Stato fosse il tedesco. Quanto alla direzione del movimento sionista essa restò in Germania sino a dopo la sconfitta degli imperi centrali nella prima guerra mondiale. Non si trattava solo di «patriottismo locale» ma della convinzione che il destino nazionale ebraico e tedesco fossero insolubilmente uniti. È difficile oggi rendersi conto dell'attrazione che la Germania esercitava sugli ebrei (ma anche sul resto dei paesi occidentali) all'inizio del XX secolo in quanto faro di modernità, sviluppo economico, liberalismo disciplinato, scienza, arte, industria, pensiero filosofico e sociale.
A creare questo patrimonio che lo sciovinismo tedesco prima, e il nazismo poi, distrussero, gli ebrei tedeschi avevano dato un contributo straordinario (tenuto conto del loro numero ) e nel campo scientifico decisivo. Personaggi come Karl Marx, Siegmund Freud, Franz Kafka, Albert Einstein, Heine, Walter Benjamin, Zweig, Buber, Rosa Luxemburg, i Rothschild e i Warbourg, Mahler e Hofmannsthal, sono alcuni componenti di quella «tribù» che si sentiva più tedesca delle altre tribù germaniche per il suo patriottismo e la consapevolezza del contributo data alla grandezza ma anche al suicidio della Germania.
In tutti però esisteva una scissura di identità che Ernst Lissauer autore dell’«Inno di odio contro l'Inghilterra», diventato popolare in Germania nella guerra 1914-18, riassunse prima di suicidarsi a Vienna in questi versi: «O popolo mio / ... Negli occhi tedeschi ebreo mascherato da tedesco / Negli occhi ebraici, tedesco, traditore della (propria) causa».
L'intesa che il cancelliere tedesco propone a Israele è qualcosa di più di una alleanza politica. È il tentativo di ritrovare un passato per il bene della Germania oltre che per Israele.

Il fatto che la comunità israelita tedesca cresca oggi più di tutte le comunità europee grazie all'apporto di ebrei russi e israeliani, non è del resto spiegabile solo in termini economici. È, come lo stato d'Israele, una sfida col destino e con la storia dell'Europa.

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