La mia città con i tappi alle orecchie

Ma è possibile che Milano, la città conosciuta in tutto il mondo anche perché ospita la Scala, odi la musica? Sembra di sì viste le proteste che puntuali, ad ogni estate, ad ogni concerto, occupano le pagine dei giornali.
Ogni volta che Ligabue, Vasco Rossi e Bruce Springsteen riempiono lo stadio, a stretto giro di posta centralini e mail di Comune e giornali vengono subissati dalle lamentele di alcune residenti a San Siro che misurano decibel e vibrazioni, quantificano fastidi e ore di sonno perse. E partono ricorsi al Tar e denunce. La situazione non migliora se il concerto si fa in piazza Duomo (non sono molti i luoghi da «adunata oceanica» a Milano). Protesta la Veneranda Fabbrica, protesta monsignor Manganini.
Insomma protestano tutti. Eppure questi concerti, o i maxischermi per il calcio, sono tra i pochi momenti di aggregazione che la nostra città concede ai giovani. Sessanta-settantamila persone qua a Milano non ci stanno da nessun'altra parte.
La storia si ripete da anni; adesso si stanno stufando anche gli organizzatori dei concerti che minacciano di tagliare il capoluogo lombardo dai tour degli artisti. Spero che ci ripensino e che Milano non diventi la città dei «no», dei divieti, dell'intolleranza. Il contrario di quella che è sempre stata (e che spero continui a essere).

Suvvia qualche ora di sonno persa non sarà una tragedia. In fondo questi avvenimenti richiamano un sacco di gente anche da fuori città. In fondo sono un affare anche per Milano. E (mettiamola così, forse fa più presa) Milano ai danée non dice mai di no.

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