«La mia collezione? Meglio di un museo»

Si fa presto a dire collezionista. Chi frequenta fiere e gallerie d’arte dovrebbe almeno una volta nella vita farsi un giro a Varese e visitare la villa che il conte Giuseppe Panza di Biumo ha donato al Fai, uno scrigno seicentesco che racchiude un pezzo di storia dell’arte contemporanea mondiale. Il conte, un vispo signore di 87 anni, in tutta la sua vita ha collezionato oltre 2.500 opere, il cui nucleo più prezioso risale ai tempi in cui, erano i primi anni Cinquanta, si recava a New York con la moglie a caccia di giovani talenti. E forse mai come nel suo caso una collezione ha la faccia di colui che l’ha creata. Dall’espressionimo astratto, il movimento di Pollock & C che vide Panza tra i promotori, al minimalismo americano di cui detiene la maggiore collezione al mondo: Robert Morris, Dan Flavin, Donald Judd, Sol LeWitt, tanto per fare dei nomi. Solo una piccola parte oggi fa bella mostra nei saloni neoclassici di villa «Menafoglio» immersa nei 33mila metri quadri di un parco in stile inglese. Il resto è finito nei grandi musei d’oltreoceano, dal MoCa di Los Angeles al Guggenheim di New York. Da anni, inoltre, l’ala delle scuderie ospita mostre temporanee, come quella che inaugura oggi sull’Arte Povera, con opere della collezione del museo Mart di Rovereto.
Signor Panza, i musei americani, ma anche svizzeri, hanno fatto a gara per accaparrarsi le sue donazioni. E quelli italiani?
«Zero. Dallo Stato italiano ho avuto soprattutto bastoni tra le ruote, come quando ho venduto il mio archivio di documenti sull’arte americana al Ghetty di Los Angeles. La Sovrintendenza bloccò l’esportazione perchè solo da noi esistono cappi come la notifica delle opere oltre i cinquant’anni»
Come si diventa un collezionista di livello mondiale?
«Non c’è bisogno di essere miliardari, basta avere cultura, passione e amore per l’arte. Io e mia moglie avevamo gli stessi gusti e compravamo artisti che allora non erano affatto famosi. Ci credevamo davvero, mica come fanno adesso».
Adesso com’è?
«L’arte contemporanea è diventato un fenomeno di moda, uno status symbol e i collezionisti si fidano soltanto dei nomi imposti dal mercato. Solo che...»
Solo che?
«Quei nomi sono lanciati da magnati della pubblicità che puntano solo ad arricchire gli anelli del sistema, gallerie, critici compiacenti. La qualità degli artisti, purtoppo non conta più nulla. Ma la crisi sta dando una batosta a tutti».
Faccia qualche esempio.
«Prendiamo l’arte contemporanea cinese, di cui so essere in corso una mostra a Milano. È una bufala culturale che ha mostrato i segni da tempo. Conosco un solo artista con dei veri contenuti, è Yang Fudong che fa fotografie e cortometraggi. Ma non ho mai acquistato nulla».
Non mi dica che continua a comprare opere
«Invece sì, io e mia moglie non abbiamo mai smesso. Ma molte le abbiamo anche vendute, perchè l’arte dev’essere goduta e tramandata».
Ma se gli artisti importanti sono montature, quali sono quelli bravi?
«Ci sono artisti che riescono ad esprimere valori fondamentali ma che sono spesso quasi sconosciuti. Personalmente continuo ad acquistare opere di Christiane Lohr, David Simpson, ma anche italiani come Sonia Costantini e Alfonso Frattegiani. Li conosceva?»
No.
«Appunto»
É stato alla Biennale di Venezia?
«Guardi, io ho 87 anni e la Biennale è faticosa»
Non mi prenda in giro. Cosa pensa del cosiddetto ritorno della figurazione?
«Cosa vuole che ne pensi.

Non mi interessava negli anni Cinquanta figuriamoci adesso. L’arte figurativa esiste da 2.500 anni e ha già detto da tempo tutto quello che doveva dire. L’astrazione invece, intesa come concetto, è molto recente e dunque ha molte più possibilità. Anche nel futuro».

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