«La mia guida olimpica ai campioni del cuore»

Intervista al sacerdote fratello dell’ex milanista

«L o sport? Per me è un gran divertimento, fin dai tempi in cui lo praticavo da piccolo. Quando Demetrio è diventato un professionista, ho seguito con maggior interesse il calcio e oggi, con i miei ragazzi dell’oratorio, considero lo sport un’importante occasione educativa».
La domanda non è peregrina: se ti chiami don Alessio Albertini e tuo fratello è «quel» Demetrio, ex campione del Milan e ora dirigente della Figc, lo sport non può essere un passatempo come un altro. Per questo don Alessio, natali a Besana Brianza e sacerdote della diocesi di Milano, ha scritto un’originale guida alle prossime Olimpiadi mescolando record sportivi ai valori che l’agonismo veicola: s’intitola «Storia a cinque cerchi: dalle Olimpiadi una lezione di vita» (Edizioni San Paolo, 96 pagg., 8.50 euro) ed è appena uscita in libreria. Vi sono raccolte storie di prestazioni straordinarie, come quella dei velocisti Carl Lewis e Ben Johnson e del saltatore Dick Fosbury, che nel ’68 ideò uno stile innovativo che gli permise di raggiungere i 2,24 metri. Il libro narra di uomini diventati un simbolo per la loro nazione, come il giapponese Kokichi Tsuburaya, prima medaglia nipponica nella storia dell’atletica oppure, e sono le pagine più significative, di atleti capaci di gesti che superano la sfera agonistica, come quello di Abebe Bikila, il maratoneta che vinse scalzo a Roma nel ’60 davanti agli occhi commossi del pubblico, per non parlare della tormentata vicenda di Nadia Comaneci, medaglia d’oro a soli 14 anni e ginnasta prodigio sfruttata dalla propaganda del regime di Ceausescu.
Ne parliamo con don Alessio, che in questi giorni è al mare in Sardegna prima di riprendere la sua attività di coadiutore presso l’oratorio milanese di San Gregorio Barbarigo.
Don Albertini, lei dimostra che colletto sacerdotale e scarpe da ginnastica stanno bene insieme.
«Nostro padre ci ha trasmesso una sana passione per lo sport. Ricordo con gioia le partite che facevamo nell’oratorio a Villa Raverio, la frazione di Besana dove siamo cresciuti. A casa si respirava aria sportiva, non i pettegolezzi in tv. Questo è lo sport che voglio insegnare ai ragazzi del mio oratorio».
Ma don Albertini per chi tifa?
«Da piccolo ero juventino, poi sono passato al Milan da quando Demetrio ha cominciato a giocarci e da allora sono rimasto un tifoso fedele».
Nel libro racconta tante storie olimpiche avvincenti: qual è quella a lei più cara?
«La storia di uno che ha perso: Akwari, atleta della Tanzania, a Città del Messico, nel ’68, tagliò il traguardo della maratona un’ora dopo gli altri. Al giornalista che gli chiese perché non si fosse ritirato, rispose: “La mia nazione non mi ha mandato così lontano per iniziare la gara, ma per portarla a termine”. Ecco, vorrei che i miei ragazzi, cui il libro è dedicato, capissero che ciascuno ha la propria strada da percorrere fino alla fine».
Qual è lo sport preferito di don Albertini?
«L’atletica. Una delle cose che, da sportivo, non dimenticherò mai è la rimonta di Cova nell’ ’83 che gli permise di vincere i mondiali».
Nel libro non cita nessun atleta italiano. Perché?
«Ho stima dei nostri atleti, ma non volevo fare torti».
Chi, tra le fila della squadra olimpica, indicherebbe ai suoi ragazzi come esempio da seguire?
«Ne cito tre: il canoista Antonio Rossi (portabandiera azzurro a Pechino, ndr.), la schermista Valentina Vezzali e la pallanuotista Tania Di Mario».


E tra i calciatori che ha conosciuto?
«Damiano Tommasi (noto per le attività filantropiche, la spiccata religiosità e la correttezza in campo, ndr.)».
Dica la verità, don Alessio: quanto conta, per far breccia tra i giovani del suo oratorio, chiamarsi don Albertini?
«Parto con un bel biglietto da visita, vero?».

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