Milano, c’era una volta la Rai Così la politica ha spento la tv

Milano, c’era una volta la Rai Così la politica ha spento la tv

di Carlo Maria Lomartire

Che la politica romana non abbia il minimo interesse al destino della sede milanese della Rai è noto da tempo, preoccupata com’è esclusivamente al valzer delle poltrone di Saxa Rubra, da spartire e dove sistemare i propri fedelissimi. Da anni nel vecchio, ormai inadeguato ma glorioso centro di corso Sempione (interamente progettato da Giò Ponti, perfino negli arredi) e negli studi di via Mecenate si produce sempre meno, spostando a Roma, appena possibile, qualsiasi iniziativa che da Milano prenda le mosse: così il controllo «politico» è più diretto, farsi ospitare nei vari programmi per i politici è più facile ed è più agevole piazzare i propri galoppini. Se poi, per qualche inopinata ragione, proprio non si riesce a spostare a Saxa Rubra una produzione milanese, be’ allora si fanno calare da Roma in corso Sempione decine di tecnici, autori, produttori, segretarie, assistenti di studio, cameraman ballerine e chi più ne ha più ne metta, come se qui non ce ne fossero o fossero inadeguati. Con quale aggravio dei costi di produzione, per un'azienda che non naviga nell'oro, è facile immaginare.
E pensare che la televisione è praticamente nata a Milano, che il primo telegiornale - direttore Vittorio Veltroni, papà di Walter - era emesso dagli studi di corso Sempione; che il primo programma televisivo di grande ascolto che ha fatto esplodere la diffusione di massa del mezzo, quel mitico «Lascia o raddoppia?» condotto da Mike Bongiorno, era prodotto negli studi della Fiera. Ma ai politici romani tutto questo non interessa, per loro si pone solo una questione di spartizione partitica del bottino televisivo.
Ma ormai questo disinteresse ha raggiunto limiti inauditi e sta facendo danni incalcolabili, dei quali ci si renderà conto col tempo: da mesi il Centro di produzione di Milano non ha un direttore. Nessuno, cioè, in grado di interloquire da una parte con viale Mazzini e dall’altra con le istituzioni milanesi e lombarde. Questo, naturalmente, per i romani è una pacchia, potendo imporre ancora più agevolmente il loro comportamento colonialista nei confronti della sede milanese, nell’incredibile indifferenza della Lega. Mentre la struttura di corso Sempione, priva di un potere autonomo e responsabile in grado di garantire almeno l’organizzazione del lavoro e i rapporti sindacali, scricchiola ogni giorno di più. Ve l’immaginate uno stabilimento della Fiat o una filiale dell’Ibm per mesi senza direttore? No, inconcepibile. Qualcosa del genere accade anche a un altro storico centro di produzione della Rai, quello di Torino. Ma per Milano c’è qualcosa di molto più grave: la totale inadempienza di viale Mazzini degli impegni precisi presi per Expo 2015 con un accordo fra l’ex sindaco Letizia Moratti e il presidente della Rai Paolo Garimberti. Accordo che prevedeva la possibilità di trasferire la sede milanese su parte del sito utilizzato per l’Expo; la realizzazione di un canale televisivo tematico digitale dedicato all’evento e l’offerta alla Rai del ruolo di «host broadcast», in sostanza di emittente ufficiale dell’esposizione. Tutto fermo, niente di tutto questo va avanti, anche - com’è ovvio - per l’assenza di un dirigente responsabile del centro milanese.

Intanto, fa sapere la direzione di Expo «noi stiamo concludendo accordi con altri operatori delle telecomunicazioni». La Rai, insomma, rischia di restar fuori dall’evento. Ma si tratta di un evento che si svolge a Milano mica Roma, cosa volete che le interessi...

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