Milano e Roma, due politiche diverse ma la Cultura è una

La politica sta tornando a occuparsi di cultura? Se sì, perché? Rispondere alla domanda significa far luce sul rinnovato confronto tra Milano e Roma. La risposta potrebbe deludere. La cultura legittima la politica offrendole un’immagine più seria, un’aura valoriale di cui la politica è priva. Ma è una replica che mortifica la cultura, non la politica su cui è bene avere un giudizio ormai disincantato. Il problema semmai sono i contenuti della parola cultura. Quest’ultima dovrebbe essere dubbio, critica e autocritica. In tale prospettiva il rapporto tra cultura e politica appare impossibile se non nella logica perversa di assegnare alla cultura il ruolo del marketing e alla politica il potere economico. Anche in quest’ottica si può porre il confronto tra Milano e Roma. Nella Capitale la cultura non di rado legittima la politica. A Milano, l’economia. In questa differenza si situa - paradossalmente - lo spazio per l’interpretazione e rappresentazione della città, del suo governo. E dell’opposizione a esso. La cultura come resistenza? Sì, ma dialettica il cui obiettivo è rimuovere pregiudizi e stereotipi. Tra questi una Milano che «non fa» cultura e una Roma città solo «dei politici». Occorre perciò rovesciare il punto di vista tradizionale, offrire rappresentazioni di senso che interroghino. Appare scontata, così, l’immagine di Milano quando si propone come la prima città d’Europa a inaugurare «la grande notte dei saldi»? Evento lecito e utile sul piano commerciale, ma non «Evento». Vi è un’altra questione tra Milano e Roma la cui implicazione sfugge ai più: questa città è piccola; pochi abitanti e ancor meno residenti. Servirebbe accogliere more people in una stretching city ovvero «più gente» in una «città flessibile».


Ma se la città sta alla società come la poesia alla letteratura, quale ruolo strategico può assumere la cultura se i suoi intellettuali engagés non sono in grado di influenzare i processi della trasformazione urbana?

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