Arriva il dottor-ghisa: un nuovo agente su tre ha il diploma di laurea

Tra i 450 che hanno vinto il concorso giovani avvocati, ingegneri e psicologi in cerca di un lavoro fisso. L’Accademia: «In campo col loro bagaglio culturale»

Giovani e laureati con la divisa: quella da vigile urbano. Accade a Milano dove il 35 per cento dei 450 ragazzi che hanno superato il concorso per agenti di polizia locale hanno un diploma di laurea in corsi di studio di tutto rispetto, dalla giurisprudenza alle scienze tecniche e psicologiche. Segno dei tempi che cambiano, perché se alcuni continuano a scegliere questo mestiere per passione, altri - molti - lo fanno per una questione economica. Per avere cioè la certezza di un posto di lavoro fisso con uno stipendio più che dignitoso (fino a 1600 euro al mese), tredicesima, ferie (28 giorni + 4 giorni di ferie, senza contare i recuperi dagli straordinari), malattia, maternità. Tutto quello che una professione in linea con il percorso di studi fatto non garantisce quasi mai ad un neolaureato.
«Fino agli anni Novanta non c’era il problema del precariato - spiega Antonio Barbato, responsabile della scuola del corpo di polizia locale di Milano che il primo agosto metterà in strada 120 nuovi agenti -. Chi faceva questo mestiere, aveva un’idea precisa del lavoro che veniva a svolgere. Ora la situazione è completamente cambiata: ci sono ragazzi e ragazze che hanno sperimentato da laureati cosa vuol dire non aver un posto fisso e hanno deciso di fare altro».
Con intelligenza, però, perché mettono a disposizione della nuova professione il proprio bagaglio culturale. E poi - continua Barbato - non si pensi più che il «ghisa» sia quello di una volta, che dà solo le multe e dirige il traffico. Il suo campo d’azione ormai è ben più ampio, spazia a 360° con competenze di polizia ambientale, edile, giudiziaria e oltre a quella del codice della strada.
«All’inizio pensavo che il vigile non fosse il massimo per la mia laurea e invece non è così - racconta Salvatore, 27 anni siciliano, di Palma di Montechiaro, con una laurea in scienza tecniche e psicologiche, un anno di precariato in una cooperativa per minori disagiati con 1100 euro di stipendio al mese -. Fai di tutto, stai per strada, aiuti la gente a far rispettare la legge e poi ci sono possibilità di fare carriera. E a livello economico va benissimo. In Sicilia lavoro non ce n’è». Veronica invece, 27 anni, laureata in giurisprudenza a Napoli, la divisa l’ha scelta anche per passione. Se avesse avuto quei due centimetri in più in altezza avrebbe provato il concorso per entrare nella polizia, ma è ben contenta ora di indossare i panni della vigilessa.
«Ho fatto due anni di pratica forense e un anno di lavoro - racconta -. Ma ci sono parecchie difficoltà legate alla professione: è molto inflazionata, e per un giovane è difficile inserirsi in questo contesto. Non hai un’entrata sicura su cui puoi contare, se il praticante ha fortuna, ha un rimborso di 300 euro al mese». Le è bastato poco per capire che questo mestiere, al di là del fattore economico, non faceva per lei. «Non mi dava soddisfazione, avevo un’idea di avvocato di un certo tipo - continua -. Alla fine invece mi facevano sempre fare le stesse cose e ho perso l’entusiasmo. Non mi piaceva fare un lavoro asettico».


Invece, il vigile è tutt’altro mestiere, dice Veronica, è l’applicazione concreta di quello che ha studiato «e se fai un buon lavoro, hai anche il riconoscimento dei cittadini». Un «nutrimento», insomma, per il cuore e per le tasche.

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