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Atto retrodatato in Expo Oggi per il sindaco è il giorno del giudizio

In arrivo la sentenza per l'ex commissario: rischia la condanna a un anno e un mese

Atto retrodatato  in Expo Oggi per il sindaco è il giorno del giudizio

In un'aula disadorna al pian terreno del palazzo di giustizia, va in scena stamattina un evento senza precedenti e - comunque lo si guardi e comunque vada a finire - spiacevole per la città di Milano. Per la prima volta, un sindaco in carica della «capitale morale» affronta la sentenza di un tribunale. Intorno all'ora di pranzo si saprà se Beppe Sala, accusato di falso ideologico e materiale, gravato da una richiesta di un anno e un mese di carcere, per la giustizia è colpevole o innocente. Se verrà condannato resterà al suo posto, ma sapendo che la sentenza gli verrà rinfacciata dai suoi oppositori ad ogni piè sospinto, soprattutto se si ricandiderà nel 2021. Se verrà assolto, l'accanimento con cui l'inchiesta nei suoi confronti è stata portata avanti sarà ricordata come una pagina non bella dei rapporti tra giustizia e politica all'ombra della Madonnina.

Lui, il sindaco, non sarà in aula. La sua deferenza verso i giudici ritiene di averla dimostrato a sufficienza il 15 aprile, quando venne in aula a rispondere alle domande di accusatori e difensori, e anche a quelle del presidente del tribunale Paolo Guidi, senza mai tirarsi indietro o avvalersi del diritto a tacere. Non fu un interrogatorio facile, e più volte il sindaco dovette ricorrere al classico «non ricordo». Ma Sala ne uscì comunque fiducioso di avere convinto il tribunale della sua buona fede: il verbale di nomina della commissione per gli appalti Expo, rifatto con data posticcia per rimediare alla incompatibilità di due membri, lui lo firmò senza guardare la data. «In quel momento mi preoccupavo solo che le persone scelte fossero idonee al compito».

Avrà convinto il tribunale? Il procuratore generale Massimo Gaballo, che ha sostenuto l'accusa insieme al collega Enzo Calia, non pare sia intenzionato oggi a replicare prima che i giudici si ritirino in camera di consiglio, perché ritiene che la versione di Sala faccia acqua da tutte le parti. Diverse testimonianze, secondo la Procura generale, hanno dimostrato che sulla plancia di comando di Expo nei giorni convulsi del maggio 2012 non si parlava d'altro: bisognava rimediare al pasticcio combinato inserendo due incompatibili nella commissione d'appalto per la piastra di Expo, e bisognava farlo in fretta per evitare nuovi intoppi. L'idea di retrodatare il verbale non si è mai capito chiaramente a chi fosse venuta in mente, ma a dare il via libera finale fu il cosiddetto «triumvirato». Per la Procura è scontato che uno dei triumviri fosse il futuro sindaco, allora amministratore delegato di Expo 2015.

Su un punto, accusa e difesa sono d'accordo: non ci furono danni per nessuno.

La Procura ha parlato di «esiguo disvalore dei fatti», la difesa addirittura di «falso innocuo». Si fece tutto, insomma, solo per fare in fretta e a fin di bene. Il tema chiave del processo e della sentenza è: il nobile obiettivo di salvare Expo giustificava un reato?

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