"Col velo e le ambiguità l'Europa volta le spalle alle donne iraniane"

Parla l'eurodeputata lombarda della Lega: "L'Ue sta tradendo la battaglia per i diritti"

"Col velo e le ambiguità l'Europa volta le spalle alle donne iraniane"

Isabella Tovaglieri, deputata europea della Lega, è intervenuta all'Europarlamento indossando una maglietta col motto delle donne iraniane, «Woman life freedom», per dare la sveglia all'Ue.

«Mostrare solidarietà con quelle proteste è il minimo. Quante donne devono essere uccise o arrestate prima che l'Europa prenda una posizione forte contro il regime e contro l'islamizzazione dell'Occidente?».

C'è un nesso?

«Quella battaglia è la stessa che qui si conduce. Lo dico fin da quando feci quel video a Molenbeek, sobborgo di Bruxelles. Quello è l'emblema del fallimento delle politiche di integrazione europee: a pochi metri dall'istituzione Europa c'era una comunità islamica insediata senza cambiare niente, che manteneva le sue regole e usi incompatibili coi diritti proclamati in Europa».

Quali iniziative ha preso sull'Iran?

«Già due anni fa avevo sollevato la questione. Stavolta ho chiesto che il dibattito venisse messo all'ordine del giorno della plenaria, ho chiesto di intervenire come rappresentante della commissione Femm, ho coinvolto i colleghi in un sit-in che ha esibito cartello col motto delle proteste, anche in arabo».

Cosa pensa di quelle proteste?

«Quelle donne hanno il coraggio che spesso manca a noi, coraggio da vendere. È un sacrificio altissimo il loro, che può costare caro, corrono rischi e pagano un prezzo enorme. Per noi sarebbe semplice prendere una posizione chiara, e però non lo facciamo».

Andrà avanti quella protesta, o sarà repressa e si spegnerà?

«Dipende soprattutto da noi. Sappiano come la censura controlli tutto lì. Spetta a noi fare la differenza. Se spegnessimo i riflettori non ci sarebbero speranze, temo».

Occorre tenere alta l'attenzione.

«È un nostro dovere mantenere viva l'attenzione. Ma se l'Europa resta nella totale ambiguità di questi anni, se continua a cedere... Per me è fondamentale segnalare le contraddizioni europee, per esempio è inconcepibile che i fondi vengano spesi per campagne pubblicitarie in cui si propaganda l'uso del velo».

Perché questo corto-circuito?

«In nome dell'integrazione si arretra su libertà che sono fondamentali, ma così facendo voltiamo le spalle non solo alle iraniane, o alle afghane, ma a tutte le donne musulmane che da quei problemi sono scappate. In nome della tolleranza consentiamo che ci siano ghetti in cui si diffondono queste sub culture. Così, si tradiscono giovani come Saman. L'Europa deve dire un no deciso e concreto, dare una scialuppa a tutte le donne che fuggono dalle follie integraliste».

Cosa fare ora?

«Va bene la solidarietà ma servono misure concrete. Il portavoce della politica estera ha parlato di sanzioni, uno strumento difficile come si vede, ma potrebbero essere utili. Non si è capito che tipo di sanzioni, e che perimetro abbiano. In Europa riempiono la bocca dei diritti civili e di fatto li negano. Dentro Renew Europa ci sono politici che sbandierano i diritti e poi vanno alla corte di Salman, responsabile di un regime che solo da pochi anni ha consentito alle donne di guidare. Socialisti e liberali in Europa devono sciogliere queste ambiguità».

La sinistra e le femministe sembrano fredde verso la protesta delle donne iraniane.

«Mi pare un silenzio assordante, a sinistra. Danno patentini, ma quando c'è da prendere una posizione netta, nessuno proferisce verbo».

Lei vieterebbe l'uso del velo?

«Sono per la libertà di scelta. Però le donne che lo portano devono sapere che può essere un simbolo di sottomissione. Invece questa Europa lo promuove. Il massimo l'ho visto in un manifesto del Comune di Ravenna, pagato con fondi europei. Non chiamarmi signorina, chiamami dottora, dice una donna velata.

Ecco, rappresenta in pieno l'ipocrisia di un'Europa che gioca sulle desinenze e non si accorge che sta prestando il fianco alla diffusione di culture che vanno ben oltre le desinenze, e portano l'orologio della storia a una stagione in cui la donna era considerata poco più di un animale».

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