Ramelli, Pisapia e chi non vuole pacificare Milano

Invece di farsi scolorire dagli anni, il ricordo di Sergio Ramelli appare sempre più forte e nitido. Chi guarda la sua foto vede il volto di uno studente, massacrato a 19 anni a colpi di chiave inglese dopo aver parcheggiato il motorino per tornare a casa. Ma, come accade ai simboli, 39 anni dopo quel volto parla ancora alla città. Incessantemente parla della più feroce delle belve: il fanatismo politico che trasformò in spietati assassini altri giovani, militanti della sinistra extraparlamentare avviata sulla strada del terrore. Questa storia era una ferita aperta.
A questo simbolo, oltre che al dolore dignitoso dei familiari, martedì ha reso omaggio il sindaco, Giuliano Pisapia, partecipando con una delegazione del Pd alla cerimonia durante la quale una corona di fiori è stata deposta ai giardini intitolati a Ramelli, a due passi dal luogo dell'aggressione. E il piccolo «giallo» sulla fascia tricolore - dimenticata chissà dove e chissà perché - è una sbavatura cerimoniale che non toglie niente al valore del suo gesto, al di là di ogni dietrologia possibile. Il «Giornale» implacabilmente e quotidianamente fa le pulci al sindaco e alla sua sconclusionata maggioranza, sull'aumento delle tasse, sui provvedimenti sul traffico e su pasticci vari e frequenti. Ma non è la critica del partito preso. Per questo oggi possiamo dire senza ambiguità che Pisapia ha semplicemente fatto la cosa giusta (che peraltro gli abbiamo chiesto). Per una volta è stato davvero «il sindaco di tutti», come vuole il più abusato degli impegni.

Anzi: di quasi tutti, perché non manca chi contesta e prende le distanze dalla «pacificazione». Ma l'immagine di Pisapia accanto agli antichi amici di Ramelli ora fa chiarezza. Ora è chiaro a tutti chi non vuole una «Milano di tutti» e preferisce coltivare sempre più sparute e disperate faziosità ideologiche.

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