"Così studiamo la rete degli amici dell'Isis infiltrati a casa nostra"

Le stazioni in supporto allle ricerche del Ros: la strategia antiterrorismo dei carabinieri

"Così studiamo la rete degli amici dell'Isis infiltrati a casa nostra"

«L'Arma dei carabinieri ha il proprio punto di forza nelle stazioni che permettono un controllo capillare del territorio. Per le indagini sul terrorismo, ad esempio, sono fondamentali: producono una mole informativa molto importante. E ci permettono di essere gli occhi e le orecchie del Ros. Quindi di fornire gli elementi basilari, ad esempio, per un tipo di indagine tipica, come quella conclusasi con l'espulsione di Farooq Aftab, il magazziniere pakistano». Il maggiore Fabio Guglielmone, 42 anni, toscano di origine e attuale comandante del nucleo informativo del comando provinciale dei carabinieri di Milano, almeno una volta settimana, su indicazione del comandante provinciale Giuseppe La Gala, gira tra i comandi di compagnia e stazioni, per fare un punto sulle situazioni di potenziale pericolo o, comunque, di monitoraggio e sensibilizzare la raccolta informativa. Quindi collabora a 360 gradi con la Digos e altre forze di polizia attraverso un confronto continuo del patrimonio informativo. Perché non esistono banali limiti di competenza contro la «guerra diffusa», la «grande paura del nostro tempo», l'interpretazione radicale e anti-occidentale dell'Islam, ovvero il terrorismo jihadista. «Nessuno può permettersi di fare errori quando il pericolo è globale. Il lavoro di squadra è indispensabile. Il territorio è vasto, le segnalazioni tante, le forze devono essere ben distribuite, non si devono sovrapporre o nascondere informazioni che agli altri potrebbero essere utili.».

Quindi si può dire che selezionate le notizie da passare al Ros...

«Certo. Basta pensare che dall'inizio dell'anno sono state circa una sessantina le segnalazioni di soggetti sospettati di essere coinvolti in attività di terrorismo di matrice confessionale. Prima che il Ros abbia gli elementi per allestire un'indagine, tutto il materiale riguardante queste segnalazioni passa da noi che abbiamo il compito di fare approfondimenti su quel soggetto o su quel gruppo di persone».

Oggi in Italia la normativa di contrasto al terrorismo di matrice islamica confessionale è molto evoluta. E l'espulsione è solo uno strumento di contrasto che si unisce agli altri...

«Per le forze di polizia questo è molto importante, soprattutto per le indagini preventive di ascolto, per controllare se determinate persone tenute sotto osservazione stanno degenerando o continuano su una linea non pericolosa. Va da sé che qualora emergano elementi che ci facciano presupporre un tipo di atteggiamento proiettato verso un'attività terroristica, interessiamo subito il Ros, con cui lavoriamo a stretto contatto».

Ma a tutt'oggi esiste un profilo preciso per definire quelli che vengono chiamati «lone wolf»?

«No. Naturalmente abbiamo cercato di trovare un sistema per indirizzare i nostri sforzi sia umani che di mezzi. Ci sono quindi bene o male degli indicatori che, se individuati nel profilo di una persona ci portano a dire va bene, vale la pena monitorare o comunque approfondire la sua storia e la sua vita».

Ad esempio?

«Beh, se controlliamo una persona e notiamo che si colloca a siti jihadisti è già un indicatore importantissimo. Fondamentale è anche il cambiamento delle abitudini quotidiane. Di chi, ad esempio, prima frequentava locali pubblici ed era solito vivere all'occidentale e gradualmente interrompe le sue abitudini diventando più rispettoso delle ortodossie religiose, proprio come è accaduto per Aftab Farooq. Inoltre, lo abbiamo visto nei casi accaduti in Europa, non tutti i terroristi avevano una vita felice, un quadro psicologico familiare sereno. Certi messaggi sin proiettano meglio su certe persone».

Il pericolo reale da dove arriva secondo la sua esperienza professionale?

«Da soggetti equilibrati e ben proiettati in una struttura terroristica. Oppure da chi, per ribellione, usa la religione come autoaffermazione. Le menti dell'Isis non sono certo le muslim gangs».

Perché la situazione lombarda riveste grande importanza sul fronte delle conversioni religiose? E i centri culturali islamici vi tengono informati su figure sospette?

«C'è una grossa sacca di immigrazione riversata in quest'area. Milano è una città di transito in una zona proiettata verso l'Europa.

L'attività di contrasto continua si fa anche attraverso contatti con i vari responsabili dei centri culturali islamici L'informazione qualificata può arrivare più da questi ambienti che da altri. Però attenzione: visto il particolare momento storico, tante delle segnalazioni mirano solo a portare discredito ad altri. Magari una moglie che vuole liberarsi del marito lo indica come un fanatico...».

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