Cronaca locale

La doppia vita di Abdel: bravo ragazzo e terrorista

Il marocchino arrestato abitava in provincia Un'esistenza anonima senza dare nell'occhio La madre assicura: «La jihad non gli piace»

La doppia vita di Abdel: bravo ragazzo e terrorista

In tutto il mondo una delle caratteristiche essenziali per essere un buon terrorista è da sempre, per parlar forbito, l'«integrazione con il territorio» dove si è costretti a vivere per ragioni di latitanza e/o proselitismo. Significa comportarsi normalmente - nel caso specifico come uno dei tanti immigrati arrivati dal Marocco - senza dare mai nell'occhio emergendo per qualsiasi forma di esuberanza, ma nemmeno distinguendosi per una riservatezza che rasenti lo scorbutico. Quindi vivere in un edificio di basso profilo, magari con la famiglia (tenuta completamente all'oscuro della propria doppia vita) con la quale si ostenta attaccamento, magari svolgendo un lavoro come tanti per dare una mano a tirare avanti la baracca oppure fingendo di essere molto impegnati alla ricerca di un impiego. Tenendosi infine lontanissimo da moschee o luoghi dove si pratica il fondamentalismo islamico anche se, in realtà, non si fa altro che cercare in ogni modo di reclutare altri jihadisti.

Abdel Majid «Abdallah» Touil, 22 anni, aveva adempiuto scrupolosamente alla regola base. Arrestato martedì sera dalla Digos di Milano su mandato della Procura di Tunisi per aver partecipato all'attentato del Museo del Bardo il 18 marzo scorso, è stato catturato poco lontano dalla casa dove abitano la madre e i fratelli a Gaggiano, in via Pitagora. Un'anonima palazzina bordeaux a quattro piani. Una casa dell'hinterland come ce ne sono tante e dove i vicini, proprio perché non sanno niente di te, non esitano a definirti «un bravo ragazzo» solo in relazione al fatto che qualndo li incontri saluti e sei cortese. Arrivando persino a difenderti con gli estranei. «Nei giorni dell'attentato era qui - ha assicurato ieri una donna a un collega dell'Ansa davanti al portone della palazzina di via Pitagora - La madre ha fatto tanti sacrifici per lui. Sta cercando lavoro». La genitrice tirata in ballo rincara la dose: «Il 18 marzo mio figlio era davanti alla tv. Ho visto con lui l'attentato in televisione, la jihad non gli piace per niente». Come se la jihad fosse «lascia o Raddoppia».

Abdallah ha sorriso cortese anche l'altra sera, quando gli investigatori della Digos e del Ros dei carabinieri lo hanno fermato mentre si trovava a piedi sulla provinciale che porta a Gaggiano, proprio a due passi dall'abitazione dove vivono la madre e il fratello. Lui in quella casa si faceva vedere poco, ma chi incontrasse, chi frequentava, resta un mistero. «Era un ombra ha confermato il dirigente della Digos Bruno Megale ieri mattina -. La sua unica traccia risale al febbraio scorso, quindi un mese circa prima degli attentati di Tunisi, quando venne identificato a Porto Empedocle dopo essere sbarcato insieme ad altre 90 persone da un barcone di immigrati». In quell'occasione, infatti, Touil viene fatto oggetto di un decreto di espulsione, ma non si sa ancora quando sia rientrato in Tunisia, né quando sia tornato in Italia dopo aver partecipato all'attentato. L'allarme sulla sua presenza sul territorio italiano è arrivato dall'intelligence».

E adesso l'ombra, il «bravo ragazzo» che abita con la madre badante e guarda la tivù, si è chiuso - come da copione - nel più assoluto silenzio.

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