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Ecco perché servirebbe una Lombardia autonomail commento 2

Ecco perché servirebbe una Lombardia autonomail commento 2

di Carlo Maria Lomartire

La Lega - ma non solo lei - ha una grave responsabilità: aver reso quasi impronunciabile una parola dalle tradizioni nobilissime: federalismo. Parola che Umberto Bossi ha coraggiosamente tirato fuori dalla naftalina del dizionario socio-politico negli anni ‘80. Ma dopo la rottura con Gianfranco Miglio, ultimo vero grande federalista, la lotta per quel progetto si è ridotta sempre di più ad una imbarazzante sceneggiata padana. Ora, forse, il presidente della Regione Lombardia, il leghista della prima ora Roberto Maroni, sostenuto dalla maggioranza di centrodestra del Consiglio regionale, ha trovato la strada più ragionevole e percorribile – sebbene non facile – per salvaguardare forme, se non di vero federalismo, quanto meno di autonomismo forte ma praticabile. Si tratta di fare della nostra una Regione autonoma, come la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta, il Friuli Venezia Giulia, le province di Trento e Bolzano, ciascuna delle quali ha ottenuto l'autonomia, con i relativi privilegi normativi e fiscali, rivendicando una sua specifica identità e peculiarità. Dopo una campagna elettorale puntata tutta su «Teniamoci il 70% delle nostre tasse» e sull'ipotesi di una macroregione del Nord, obiettivi che a molti sono sembrati velleitari, il progetto una Lombardia regione autonoma può avvicinarsi molto a quelle rivendicazioni ma anche allo svanito sogno federalista. Per di più un impegno in quella direzione oggi appare particolarmente necessario. Ormai è evidente, infatti, che il governo di Matteo Renzi, benché guidato da un sindaco che è stato anche presidente di Provincia, ha impresso una forte spinta centralizzatrice all'organizzazione dello Stato: via le Provincie; un Senato detto «delle autonomie» ma che non conta niente e nel quale la Lombardia ha gli stessi senatori di Valle d'Aosta o Molise; il Titolo V della Costituzione rivisto in senso fortemente statalista; Regioni a rischio di ridimensionamento (misura che, almeno alcune di loro, hanno fatto di tutto per meritare, tanto che molti, anzi, le abolirebbero, ma se si devono cancellare le istituzioni che funzionano male, allora perché non cominciare dallo Stato?) e poi fondi europei gestiti da Roma e altri progetti centralisti col pretesto del maggior controllo. Per cercare di ottenere il quale è probabile che il governo abbia ottime ragioni, dati certi precedenti. Che però non riguardano, non possono riguardare la Lombardia. Certo, anche da queste parti non sono mancate macchie e ombre, che comunque non sarebbe il neocentralismo a evitare. Ma che la nostra sia, pur con i suoi difetti, una Regione tra le più virtuose ed efficienti dal punto di vista organizzativo, amministrativo e del rapporto con i cittadini è fuori discussione, come si evince dalle cronache quotidiane. Ma soprattutto la Lombardia rappresenta quasi il 25% del Pil nazionale e riceve dallo Stato molto meno di quello che gli versa: l'anno scorso i lombardi hanno pagato tasse per quasi 16mila euro a testa e hanno ricevuto in cambio circa 10 mila euro. Pur invocando la solidarietà nazionale il rapporto appare piuttosto squilibrato. Dunque anche la Lombardia ha una sua forte specificità per rivendicare uno statuto di autonomia.

Ha una sua marcata peculiarità, per di più fondata non su valutazioni teoriche, per quanto rispettabili, come quelle di carattere storico, linguistico, culturale o geografico ma su fattori dannatamente concreti e incontestabili, tanto che si possono esprimere con eloquentissimi numeri.

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