Il segretario regionale, un piccolo esercito di sindaci, deputati e senatori, una bella fetta della giunta di Milano. Le pedine «renziane» sono schierate in tutte le postazioni chiave dello scacchiere geo-politico lombardo, pronte a dare scacco matto. La guerra dentro al Pd è alla svolta. Alle primarie il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, era stato sconfitto dall'apparato del segretario Pierluigi Bersani ma la partita di «ritorno» ha preso un'altra piega. Sono solo 10 mesi e sembra passato un secolo. Bersani è un ex e a livello territoriale è in atto una valanga. Dopo le ferie il sindaco proverà a prendersi tutto. La sua macchina è già al lavoro e censisce le forze su cui contare. L'anno scorso si parlava di un segretario provinciale su 110. Stavolta musica e numeri sono cambiati. Un sondaggio ufficioso fra i sindaci di sinistra nel Milanese (sono 78) ha dato un risultato parziale incoraggiante: due terzi degli interpellati sono pronti per essere arruolati. O si dicono interessati, o «attenti». Altri sono già in campo, come Virginio Brivio a Lecco, o l'ex primo cittadino di Lodi Lorenzo Guerini, promosso deputato. E a Brescia Emilio Del Bono ha beneficiato di un seguitissimo comizio di «Matteo». Clima e rapporti di forza evocano quel che sta accadendo a Milano, dove alle aperture di Giuliano Pisapia, fanno riscontro quelle del suo vice Lucia De Cesaris (ex coordinatrice del comitato di Bersani) o del sinistrorso Pierfrancesco Majorino. Si aggiungono ai colleghi schierati da tempo con Renzi, più o meno apertamente, come Pierfrancesco Maran, Chiara Bisconti, Franco D'Alfonso. Si danno per acquisiti, poi, deputati di peso come i veltroniani Marilena Adamo e Vinicio Peluffo. E tanti altri lombardi si contano in Parlamento, da Angelo Senaldi ad Alan Ferrari a Giovanna Martelli, da Alfredo Bazoli a Giovanni Sanga, da Mauro Del Barba a Roberto Cociancich. Si va affermando uno schema in cui Pisapia, nuovo Vendola, copre l'ala sinistra dell'alleanza, per lasciare a Renzi il compito di conquistare il centro. La conferma arriva dall'intervista di ieri in cui il sindaco ha attaccato il governo con toni che il collega fiorentino non può (ancora) usare.
In Lombardia, intanto, il partito è retto da un renziano della prima ora come il varesino Alessandro Alfieri, che al congresso regionale (prima di Natale) dovrebbe correre per la segreteria - e al momento non si vedono rivali. Ma cosa ha fatto precipitare le cose? La sconfitta al Politiche e il pasticcio delle elezioni presidenziali sono state - per i renziani - le gocce che hanno fatto traboccare il vaso. «Prima - riflette Guerini - la proposta di Renzi era affascinante per gli elettori, ora trova cittadinanza piena anche nel partito, e la base si confronta in modo sereno con la possibilità che sia lui a guidarlo. Qualcuno lo sosterrà, altri no, ma nessuno la vede più come un'eventualità deflagrante. Anche perché la base è stufa di non vincere». Oltre a sindaci e dirigenti che stanno cambiando idea, poi, ci sono quelli di fresca nomina, molti dei quali eletti nelle ultime tornate amministrative a colpi di primarie.
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