Il festival alza il sipario e la città si sveglia tra concerti e danza

La rassegna e il suo legame con i milanesi che per i recital invadono sale, atenei e chiese

Luca Pavanel

MiTo e la città, un binomio che ogni anno a settembre riaccende la vitalità della metropoli, dopo il periodo di stasi delle ferie estive. MiTo e i milanesi, una storia che dura da parecchio ormai, da quando questa rassegna ha iniziato a «suonare» in parallelo a Torino, alla fine degli anni Settanta luogo della sua ideazione e primo lancio, e a Milano.

Pronti via, la programmazione nel 2018 sotto la presidenza di Anna Gastel e nell'era di Nicola Campogrande, compositore e direttore artistico, qui parte domani (subito dopo il capoluogo piemontese) puntando sul tema della «danza» e i suoi collegamenti, ma anche sul ballo. In previsione, nel centro dove - come vuole tradizione - il Teatro alla Scala alza il sipario nel giorno di avvio, ci sarà una sessantina di concerti in soli 16 giorni, una media di tre, quattro recital al dì. E ogni volta un piccolo grande dilemma tra gli appassionati richiamati dalla forza dell'evento: «Che cosa andiamo a vedere oggi, stasera?». Già proprio così, ecco Milano per due settimane trasformarsi simbolicamente in una grande scena. Non solo auditorium e teatri, ma anche chiese, abbazie e università. Quanti luoghi normalmente dedicati ad altro vengono adattati per accogliere il pubblico, il più variegato pensabile. E agli ingressi a volte vere e proprie file (l'anno scorso stando ai dati forniti, occupato il 98% dei posti disponibili), una comunità fedele che si ritrova: appassionati, spettatori dell'ultima ora, curiosi e non mancano le famiglie con i loro pargoli in prima fila. Per le strade nonostante il rientro, complici i bei cartelloni e la musica, c'è aria di festa. Ma anche la voglia di incontrare alcuni dei migliori interpreti a livello mondiale. Non c'è da scommetterci nulla, è quasi certo che saranno sold out gli appuntamenti con personaggi del calibro del violinista russo Ilya Gringolts, già enfant prodige, accompagnato dal pianista Peter Laul (mercoledì presso il Piccolo Teatro Grassi di Milano), per fare un esempio.

Sarà così anche per l'annunciato arrivo della regina della tastiera Martha Argerich. E ancora. Per i cultori dei filoni contemporanei è immancabile l'appuntamento di venerdì, quando sul palco del Piccolo Teatro Grassi di sera salirà il Kronos Quartet; in programma anche la prima esecuzione di «Carrying the Past», un brano firmato dal compositore Dan Becker. Il cosiddetto «Giorno dei cori» è fissato per sabato, quando una quindicina di formazioni vocali si esibiranno, per poi confluire e realizzare insieme un gran finale. Tra i momenti da non perdere, pure il concerto del 10 di Xavier de Maistre, alla Certosa di Garegnano Vittorio Ghielmi (11 settembre); inoltre degni di nota tra i tanti altri l'appuntamento del 14 al teatro Dal Verme (Elisse Virsaladze e l'Orchestra del Teatro Regio). Verso la fine il maestro Myung-Whun Chung e la Filarmonica della Scala (il 16) ed Enrico Dindo e l'Orchestra Rai il 19 di questo mese. Si sarà notato: non solo star straniere sul cartellone.

Una delle caratteristiche di questa gestione è la realizzazione della volontà di arruolare anche i big e le cosiddette «masse artistiche» nostrane. Per esempio il Conservatorio di Milano «Giuseppe Verdi», la Civica scuola di musica «Claudio Abbado» e la scuola Paolo Grassi. Realtà che hanno fornito e forniscono musicisti e non solo. Questo significa una «leggera» inversione di tendenza - con i suoi vantaggi economici -, ora quella, come si fa in molti festival all'estero, di chiamare in causa i propri artisti e non esagerare nell'arruolamento di big stranieri. Un movimento che in tempi di minori disponibilità «suona» bene rispetto al più opulento passato.

E allora avanti tutta con lo spettacolo, spazio alle note e ai suoi virtuosi. A proposito di musica antica, ce ne è molta e di alta qualità. Un altro nome, nostro ma diventato mondiale: Gabriele Cassone, prestigiosa tromba classica e barocca.

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