Firme false, Podestà condannato

Il presidente della Provincia pubblica un e-book contro la sentenza e la guerra Robledo-Bruti di cui si ritiene vittima

Firme false, Podestà condannato

Che andasse a finire male, Guido Podestà evidentemente lo aveva messo in conto: e aveva preparato per tempo l' e-book , il libro in formato elettronico che alle 17 di ieri, a sentenza appena sfornata, pubblica sul suo sito e sul web, «Che Italia è questa?», sottotitolo «il processo di Robledo contro Podestà». Il processo è quello per le firme false che sostennero la candidatura di Roberto Formigoni alle Regionali del 2010. Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo aveva chiesto per il presidente della Provincia accusato di essere il mandante della falsificazione delle liste, una condanna-batosta: cinque anni e otto mesi per falso aggravato in atto pubblico; il giudice fa uno sconto di quasi la metà, cambia il reato in violazione della legge elettorale, condanna Podestà a due anni e nove mesi di carcere, e a pene ancora inferiori i suoi presunti complici. Ma Podestà è ugualmente inferocito: «La cosa più amara - dice presentando l' e-book - è pensare ai miei figli e all'educazione che gli ho dato di credere nella giustizia».

Lo scandalo delle firme false era esploso grazie alle indagini dei carabinieri che - spulciando ad una ad una le firme apposte sulle liste - avevano scoperto oltre 900 casi in cui i presunti sottoscrittori non riconoscevano il proprio autografo. E si era appurato che le firme erano state apposte da esponenti del Pdl. Su ordine di chi? Clotilde Strada, funzionaria del Pdl, prima tirò in ballo Massimo Corsaro, coordinatore provinciale del partito, e poi Podestà.

Ed è in base alla testimonianza della Strada che ieri il presidente della Provincia viene condannato. Ma Podestà nella sua conferenza stampa non se la prende tanto con la Strada, che l'avrebbe chiamato in causa per limitare i danni e patteggiare una pena al ribasso, quanto con il suo grande accusatore, Alfredo Robledo. Per Podestà, l'inchiesta sulle firme false è un capitolo dei veleni che scuotono la procura milanese, e la pervicacia con cui Robledo ha chiesto e ottenuto la sua condanna è figlia dello scontro di poteri tra il procuratore aggiunto e il suo capo, Edmondo Bruti Liberati. «Bruti era contrario alla mia iscrizione nel registro degli indagati», dice ieri sera Podestà. E accusa Robledo di «mancanza di approfondimento del tutto colpevole.

Secondo Podestà, sarebbe bastato interrogare Corsaro perché crollasse la tesi di fondo dell'inchiesta: si dovettero falsificare le firme perché gli scontri interni al Pdl avevano ritardato l'accordo sui nomi, e il

tempo stringeva. «Non è vero niente». Le firme, dice, vennero raccolte già all'inizio di febbraio, quando la scadenza era ancora lontana. «C'era già una volontà ab origine di usare questo sistema», dice: ma io non c'entro.

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