«L'affare droga è l'affare del secolo. E i trafficanti hanno ormai una vera e propria mentalità imprenditoriale con un prodotto illecito che inseriscono in un circuito commerciale vero e proprio e che segue precise regole di mercato. Impiegando persone, mezzi, denaro, che comprendono rapporti di fidelizzazione con fornitori e clienti».
Quindi Milano, con circa un milione e 300 mila abitanti ma un indotto di due milioni e mezzo di persone che entrano ed escono dalla città ogni settimana, in Italia è il fulcro di questa attività?
«Non c'è dubbio. La domanda è alta e l'offerta, gioco forza, diventa alta. Qui c'è innanzitutto molto denaro. E poi le attività finanziarie, economiche, la moda, l'università, la movida. Perché la droga, e parlo innanzitutto di cocaina, è un fenomeno sociale che ripercorre (...) stili di vita, degrado, disagio, stereotipi. Insomma un po' tutto. È trasversale. E quindi è chiaro che a Milano - l'unica vera metropoli italiana - l'utilizzo delle sostanze stupefacenti sia diffusissimo».
Il vice questore aggiunto Domenico «Mimmo» Balsamo, 39 anni, originario di Napoli, dopo una lunga esperienza in questura a Firenze, dirige la sezione Narcotici della squadra mobile di Milano dal maggio 2017. Preparato, attento, scrupoloso nell'analizzare quella che il ministro dell'Interno Matteo Salvini non esita a definire «non solo un problema milanese, ma la principale emergenza italiana», Balsamo ci spiega in che modo sotto la Madonnina continui purtroppo a fiorire l'impero del male della cocaina.
Una città come Milano, con dinamiche diverse, ha anche variegate dinamiche di spaccio. Ce ne parli.
«Innanzitutto va detto che il prodotto in un mercato libero come questo è di qualità. Chi spaccia a Milano preferisce perdere un po' di guadagno, ma mai in qualità perché significherebbe rimetterci la clientela. In questo quadro così ampio la cocaina è in assoluto la sostanza più diffusa perché l'ambiente sociale milanese, così competitivo anche nei ritmi di lavoro, illude il consumatore, facendolo sentire particolarmente attivo e facendogli credere di contare qualcosa, insomma. Hashish e marijuana sono droghe leggere diffuse da sempre sia per il prezzo basso, sia perché si riescono a reperire più facilmente. Del resto un chilo di cocaina costa al trafficante di territorio 30-35mila euro, un chilo di hashish da 1600 al massimo 3mila euro, a seconda della qualità».
E l'eroina?
«È una sostanza stupefacente sempre di nicchia perché utilizzata da una cerchia sociale ristretta: persone disagiate, che hanno problematiche personali e che vogliono alienarsi dalla società. Ma chi vive a Milano generalmente non vuole alienarsi dalla società, al contrario, vuole farne parte a tutti i costi e mantenendone i ritmi folli senza accettare i propri limiti. Il disagiato tendenzialmente evita una città come questa. Tant'è che il posto dove si vende l'eroina, se si eccettua qualche magrebino che la consegna a casa, è uno solo: Rogoredo. Comunque non si tratta di una sostanza diffusa al pari della cocaina».
È esatto dire che, oltre alla cocaina, non c'è un'emergenza di altri stupefacenti?
«Sì, è esatto. In espansione c'è lo shaboo, la droga in cristalli che appartiene alla medesima tipologia della cocaina, ma è dieci volte più forte. Produce euforia ed eccitazione mentale, ti consente di far fronte allo sforzo fisico ancor di più perché l'effetto è dieci volte più forte di quello della cocaina. La dose minima infatti è un decimo di grammo, mentre per la cocaina è mezzo grammo. Al momento però lo shaboo è limitato alle etnie cinese e filippina, che la producono e la spacciano».
Ma non crede che, proprio per gli effetti che produce, abbia purtroppo tutte le caratteristiche per espandersi?
«Per fortuna, come abbiamo riscontrato, al cittadino fa paura. E meno male! L'effetto tipico dello shaboo può durare anche 24 ore per una dose (il primo effetto eccitante dura 7-8 ore). È davvero tanto, pensiamo ai devastanti effetti sulla salute. E poi costa parecchio: la dose minima, un decimo di grammo, viene venduto a 30 euro; mentre mezzo grammo di cocaina si paga 45/50 euro».
Nelle ultime indagini avete smantellato più piazze di spaccio a Milano. Che tipo di cocaina avete trovato?
«La cocaina migliore arriva dal Perù, dalla Colombia, dalla Bolivia, ma viene prodotta anche dai cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco, al confine con il Guatemala. Quando arriva qui in Italia al 90% delle purezza viene tagliata con le classiche sostanze che ne diminuiscono il principio attivo. A Milano, contrariamente a quanto credono molti, non c'è concorrenza tra trafficanti nella zona della movida - come corso Como o le Colonne di San Lorenzo - perché in quelle aree il cliente tipo è il ragazzo che compra una dose magari per andare in discoteca e spesso capita che la droga sia di scarsa qualità. I pusher si piazzano in alcuni angoli, nella stragrande maggioranza dei casi non c'è nessuno che li gestisce».
Poi ci sono le cosiddette piazze «fidelizzate».
«Sono gestite da organizzazioni criminali di tipo verticistico, ben strutturate, con libri mastri, gente che tiene la contabilità, che calcola i dare e gli avere. I pusher, controllati dai capi dell'organizzazione che li pagano 5mila euro al mese, forniscono la cocaina ai clienti su chiamata telefonica nei punti dell'area che gestiscono, facendo turni di sei ore e spacciando in cinque-sei strade. Quindi chi smonta passa il cosiddetto phone band, il telefono della banda e dei contatti con gli acquirenti, a chi lo sostituisce sul posto. Quando abbiamo smantellato le piazze di San Siro e di Bonola, gestite dai fratelli Cilione e Luongo (52 catture e 220 chili cocaina sequestrata, ndr) i pusher ricoprivano una fascia oraria che andava dalle 10 di mattina all'una di notte. Ciascuno aveva un carico di due bustine da 13 dosi l'una, finita quella quantità si rifornivano di nuovo e alla fine delle sei ore passavano il telefonino a un altro pusher. Una vera e propria organizzazione imprenditoriale».
Con guadagni stratosferici ma con una struttura che presenta però anche rischi enormi.
«Nella piazza l'organizzazione si espone, innanzitutto visivamente. E poi i pusher si relazionano con il soggetto ignaro, che è l'acquirente, ma per chi indaga diventa l'esca. La banda poi è a rischio soffiata, c'è chi è pronto a venderla, chi nell'affare è stato tirato di mezzo e comincia a cantare con le forze dell'ordine, con i clienti. C'è infine il cittadino che può fornire una indicazione di massima del tipo:qui c'è un tizio che viene ogni giorno a spacciare. Si tratta comunque di input che fanno scattare indagini, controlli».
Ci sono telefonini con contatti di acquirenti che valgono parecchio, vero? Ci racconti.
«Un riscontro investigativo e giudiziario della vendita di una piazza di spaccio è quella di Laurence Rossi, un ex trafficante diventato collaboratore di giustizia e che con le sue dichiarazioni ci ha permesso, insieme ad altre due inchieste che avevamo in piedi, di portare a termine l'indagine Red Carpet (23 arresti). Uscito dalla galera dopo aver scontato una condanna per droga, Rossi si riattiva sulla piazza. Non ha alle spalle trafficanti e broker danarosi e deve ripartire per forza dalla vendita dalle bustine. Piano piano si crea così una nuova piazza di spaccio tra la Comasina e Bruzzano. E quando vende il telefonino di contatti a quelli di Bruzzano lo fa per 200mila euro. Ecco come a Milano l'animo delinquenziale si accoppia con la mentalità affaristica. Con libri mastri, addetti alla contabilità: un'organizzazione imprenditoriale a tutti gli effetti».
Infine ci sono «piazze» come Rogoredo o Sant'Eusebio a Cinisello o il Parco delle Groane.
«Si tratta di specie di vie di mezzo.
L'organizzazione criminale di quella struttura è più spartana rispetto a quelle di cui abbiamo parlato prima, ma la condizione ambientale e strutturale consente di monitorare tutta l'area circostante anche con delle vedette e quindi la banda è in grado di prevenire l'intervento della polizia. A Cinisello, nel luglio 2017, abbiamo fatto 30 catture. Lo stesso vale per Rogoredo. E in quel caso, quando si tratta di un bosco, la situazione si può risolvere solo bonificando completamente l'area».
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