Era il 25 luglio del 1956 quando il transatlantico Andrea Doria, gioiello della Marina civile, colava a picco al largo dell'isola di Nantucket nel Massachussetts. Nel naufragio, rimasto tristemente celebre, sparì per sempre anche un'opera monumentale dell'artista siciliano Salvatore Fiume, realizzata su commissione dell'architetto Gio Ponti per il salone di prima classe della nave. La grande tela rappresentava un'immaginaria città rinascimentale italiana ricca di capolavori d'arte, uno scenario metafisico che concentrava le bellezze che i viaggiatori di tutto il mondo avrebbero ammirato nel nostro Paese. Quasi settant'anni dopo, a rischiare il naufragio è l'ottocentesca filanda che Salvatore Fiume scelse come suo regno creativo nell'alta Brianza, nel piccolo Comune comasco di Canzo, residenza-laboratorio per tutte le arti fino alla scomparsa del maestro nel 1997, poi casa-museo e sede della Fondazione Fiume voluta e creata dalla figlia Laura, artista anch'essa. L'edificio, 2.700 metri quadri disposto su quattro piani, è un viaggio affascinante nel percorso di un artista che fu pittore, scultore, architetto, scrittore e scenografo, attività quest'ultima che segnò alcune pagine indelebili nella storia del Teatro alla Scala. Oggi questo luogo, ricco di opere, studi, plastici e bozzetti, e in cui troneggia ancora l'antico forno per la produzione di ceramiche, è un tesoro nascosto che rischia di morire senza un piano di valorizzazione che la famiglia non è in grado di sostenere. «In questi anni abbiamo fatto ogni sforzo, come avrebbe voluto mio padre, per aprirla al pubblico, soprattutto alle scuole - dice la figlia Laura - ma l'assenza di adeguate misure di sicurezza, come pure di un nuovo impianto di climatizzazione, ci ha impedito fino ad oggi di offrire un vero programma di visite guidate, come pure l'istituzione di laboratori artistici per i giovani, che pure gli spazi della filanda permetterebbero».
Quella della Fondazione Fiume è una delle tante, troppe, storie di patrimoni sottratti alla cultura per mancanza di risorse ma anche e soprattutto per i lacci e lacciuoli della burocrazia italiana. Ma c'è una cappa quasi kafkiana su questa antica filanda che fu scoperta e poi acquistata dall'artista sul finire degli anni Quaranta, proprio in occasione della realizzazione delle opere monumentali per le navi Giulio Cesare e Andrea Doria. I grandi spazi di questo edificio protoindustriale furono preziosi per gli studi di capolavori rimasti nella Storia dell'arte, come il trittico Isola di Statue esposto alla Biennale di Venezia e custodito ai Musei Vaticani, o come la grande tela Città di Statue acquistato dal MoMa di New York. Senza contare le numerose commissioni del Teatro alla Scala, nate sulla spinta dell'amicizia con Alberto Savinio e Giorgio De Chirico, per le scene di opere come Norma di Bellini, Nabucco di Verdi, Guglielmo Tell di Rossini e molte altre. «Mio padre lavorava e viveva qui, ma voleva condividere la magia di questo luogo - ricorda Laura - e infatti, dopo l'acquisto di una nuova ala della filanda per lo studio di sculture di grandi dimensioni, al secondo piano creò un auditorium di 300 posti in cui collocò un grande organo di duemila canne». Era l'inizio degli anni Settanta e la Filanda divenne infatti meta di eventi e concerti. Il maestro Claudio Abbado diresse qui l'orchestra da camera del Teatro alla Scala nell'esecuzione di alcuni concerti brandeburghesi di J. S. Bach. La rassegna di concerti, che erano gratuiti e attiravano pubblico da Milano come dalla vicina Svizzera, si interruppero nel 1976 con la morte della moglie Ines, e l'organo venne donato dall'artista alla chiesa del vicino comune Asso. Negli anni successivi la figlia Laura si trasferì nella Filanda dove, sotto la guida del padre, inaugurò un laboratorio di serigrafia e iniziò una produzione di ceramica riattivando l'antico forno la cui alta ciminiera rappresenta ancora l'elemento distintivo dell'edificio. Ma fu all'inizio degli anni Duemila che la neonata Fondazione smantellò i laboratori per dare vita a un vero e proprio percorso museale, ufficialmente inaugurato dal Fai nelle Giornate di primavera del 2006. «Le visite furono un successo - ricorda Laura - e le intensificammo nel 2015 nell'anno del centenario della nascita del papà. Abbiamo ospitato conferenze, scolaresche e gruppi culturali guidati dall'Associazione Amici dell'Accademia di Brera di cui sono stata vicepresidente».
Le normative di sicurezza e le condizioni dello stabile in via di deterioramento hanno reso il percorso sempre più difficile. Così come inutili - ed è questo il lato kafkiano della vicenda - si sono rivelati i tentativi della famiglia di donare la Filanda alla Regione Lombardia («possiede già troppi immobili»), al Fai («non se la sente per la presenza di potenziali eredi») e pure al Comune di Canzo («la legge non consente acquisizioni ai Comuni con meno di 15mila abitanti»).
«Ci occuperemmo noi del recupero della Casa Museo se trovassimo fondi; ma anche Fondazione Cariplo si è tirata indietro perché per statuto non può elargire finanziamenti a fondazioni private». E allora chi salverà la Filanda di Fiume dal naufragio?
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