Dopo quella di Pierangelo Daccò, la procura della Repubblica chiede altre quattro condanne per i responsabili dello svuotamento delle casse del San Raffaele: i costruttori Pierino e Gianluca Zammarchi, padre efiglio, e i loro presunti complici Ferdinando Lora e Carlo Freschi. Sono, nella ricostruzione dell'accusa, l'altro lato del «sistema Daccò»: gonfiando sistematicamente le fatture dei lavori per l'ospedale, Zammarchi permetteva la creazione dei fondi neri che poi Daccò dirottava sui conti esteri. E che in parte, dicono i pm, servivano a ringraziare il governatore Roberto Formigoni dei «favori» fatti al San Raffaele.
Daccò si è già visto infliggere dieci anni nel processo con rito abbreviato. Ieri, a conclusione del processo agli imputati che hanno scelto di affrontare il dibattimento, i pm Luigi Orsi e Gaetano Ruta chiedono 4 anni e nove mesi di carcere per Zammarchi padre, 4 anni e quattro mesi per suo figlio Gianluca, 4 anni e sette mesi per Lora, 4 anni e tre mesi per Freschi. L'accusa per tutti è di associazione a delinquere e di concorso in bancarotta fraudolenta. Il «drenaggio di quattrini dalle casse del San Raffaele», hanno sostenuto i due pm, «ha carattere della sistematicità e dal 2005 è a beneficio di Pierangelo Daccò». Il sistema, dunque, risale più addietro nel tempo, prima che entrasse in scena il faccendiere amico di Formigoni: ma che fine facessero allora i fondi sottratti alle casse non si saprà mai, anche perché i due uomini che sedevano al vertice dell'ospedale, don Luigi Verzè e Mario Cal, nel frattempo hanno reso l'anima al Signore.
«Questa - ha sostenuto il pm Orsi - è una organizzazione criminale che sa piegare gli strumenti usati a seconda delle esigenze per conseguire l'obiettivo». E lo dimostra il fatto che i principali fornitori del gruppo
non erano case farmaceutiche ma «costruttori di una cattedrale nel deserto a Olbia e di un edificio
a Cologno mai abitato da nessuno».
Ai quattro imputati la Fondazione Monte Tabor, vecchia proprietaria dell'ospedale - che è stata ammessa al concordato preventivo per evitare il fallimento e che si è costituita parte civile nel processo - ha chiesto, in caso di condanna, un risarcimento di almeno un milione di euro per i danni di immagine, mentre i commissari giudiziali hanno chiesto che gli imputati debbano restituire i fondi sottratti all'ospedale.
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