«Sono tutte balle, balle spaziali. I miei conti correnti testimoniano che quanto ho speso in questi anni me lo sono sempre pagato io». Come previsto, la chiusura dell'indagine sui fondi pubblici erogati alla fondazione Maugeri e al San Raffaele ha portato nuovi grattacapi al governatore Roberto Formigoni. Migliaia e migliaia di pagine in cui i magistrati raccolgono le accuse contro il presidente della Regione, e che finiscono sui giornali. Si parla di regali da Pierangelo Daccò e Antonio Simone, di pranzi e cene pagate, di albeghi di lusso e viaggi nei paradisi tropicali fatti dal «Celeste» a spese dei due faccendieri, di denaro contante consegnato da Formigoni al capo area della banca di Sondrio per importi compresi tra i 5mila e i 20mila euro. E poi, altri 600mila euro che Umberto Maugeri - l'ex presidente dell'omonima fondazione - gli avrebbe versato come finanziamento elettorale e che - stando al verbale dello stesso Maugeri - «sarebbero stati conteggiati in un conguaglio complessivo». Ma Formigoni non ci sta.
«Non ho mai ricevuto né 270mila euro in contanti né i 600mila». «Quando vado al ristorante o quando faccio un acquisto - ha spiegato ieri il governatore - sono io a pagare, se un altro mi invita accetto volentieri. Confermo sinteticamente che nulla di ciò che è stato pubblicato corrisponde a verità». Quindi, l'affondo. «Soprattutto - ha continuato Formigoni - si continua a non parlare di ciò che le carte depositate dalla Procura documentano inoppugnabilmente: non c'è stata alcuna corruzione, non c'è stato un solo euro di denaro pubblico sperperato. Le altre sono balle che certi pm e i giornali fiancheggiatori utilizzano per danneggiare me e il Pdl e per favorire spudoratamente la sinistra».
Il governatore, ora, si trova costretto a fare i conti con uno stillicidio quotidiano di notizie e accuse pescate dalla miriade di atti depositati dalla Procura. Come l'«allarme» che srebbe scattato nell'entourage di Formigoni al'indomani dei primi arresti per la vicenda Maugeri. Nelle carte, infatti, si parla di una donna, probabilmente un'amica di Formigoni, che dopo avere avuto «informazioni riservate» sul fatto che il faccendiere Pierangelo Daccò «stava parlando» avrebbe incontrato, il 16 aprile 2012, il presidente della Regione. Daccò era già in carcere dal novembre 2011 per il caso San Raffaele, quando ad aprile gli venne notificata un'altra ordinanza di custodia per l'inchiesta Maugeri. Tre giorni dopo, la mattina del 16 aprile scorso - come si legge in un'annotazione di polizia giudiziaria contenuta nelle oltre 122 mila pagine di atti - gli investigatori intercettarono una telefonata tra Mauro Villa, segretario particolare di Formigoni e Lucia Vicario. Quest'ultima chiamava Villa per manifestargli «l'urgenza di incontrarsi col presidente» per «fornirgli informazioni riservate». Appresa - scrivono gli investigatori - «l'impossibilità di un incontro imminente la Vicario accennava il contenuto dell'informazione spiegando di averla avuta dal solito contatto, secondo il quale PD (presumibilmente Piero Daccò) stava parlando e di voler dare al più presto i dettagli al presidente in persona».
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