«Io violinista da copertina? Con la musica non si bara»

Questa sera al Conservatorio la concertista pupilla di Accardo: «Gli Stradivari antichi vanno suonati»

Luca Pavanel

Questa sera la violinista Anna Tifu e la Stuttgarter Philharmoniker diretta da Marc Piollet saranno al Conservatorio per la Società dei Concerti. Un programma da veri virtuosi: di Paganini il «Concerto n.2 in si min op. 7 per solista e orchestra» e di Rachmaninov la «Sinfonia n.2 in mi min p.27». La Campanella, una delle pagine straordinarie della classica, eppure Paganini così poco eseguito... «In effetti - attacca la Tifu, 30 anni, considerata fra le più brave della sua generazione - nei cartelloni questo compositore non c'è molto perché i suoi brani sono tecnicamente difficili. L'ultima volta che l'ho eseguito? Il 27 ottobre a Genova per il suo compleanno; ho pure usato il suo Guarneri del Gesù del 1743 che lui chiamava il cannone per via della potenza del suono».

Anche stasera suonerà uno strumento d'epoca, un gioiello...

«I violini antichi (è uno Stradivari Marechal Berthier del 1716, violino appartenuto a Napoleone e usato nel corso di 200 anni da Franz von Vecsey, Franco Gulli e Pavel Berman, ndr) bisogna suonarli e non lasciarli solo sotto vetro; più uno strumento viene suonato e meglio è. Ed è per questo che quelli antichi funzionano meglio di quelli moderni».

Lei, una paganiniana, è stata per dieci anni allieva di Accardo. Musicalmente parlando che cosa le ha lasciato?

«In realtà se dovessi scegliere, uno dei miei concerti preferiti è il n. 1 di Shostakovich. Paganini mi è stato proposto più volte, del resto il mio Maestro Accardo per questo autore è un punto di riferimento. Lui tra le altre cose mi ha insegnato l'autocontrollo, come affrontare la scena».

Quali sono stati gli altri suoi Maestri o modelli che ha seguito?

«Oltre Accardo, ripeto per me figura fondamentale, ho sempre seguito attraverso i video e le registrazioni David Ojstrach. Poi tra i miei maestri c'è Aaron Rosard che ho frequentato a Filadelfia negli Usa».

Qual è la «cifra», la qualità, il discorso musicale che propone la sua generazione?

«Oggi vedo un livello tecnico davvero alto, violinisti bravi e bravissimi ce ne sono, e ne continuano ad arrivare. Ma la bravura tecnica non basta soprattutto in un panorama così, dove la competizione si è molto allargata. È importante riuscire a fare la differenza, conta quello che sai esprimere, bisogna riuscire ad emozionare. Penso, per esempio, a personaggi come Lisa Batiashvili, Janine Jansen e Julia Fischer».

Quali sono gli autori e i repertori che le piacciono di più?

«Shostakovic ma anche Prokofiev e Brahms. Mi piace molto il concerto di Sibelius; i brani e i repertori del periodo romantico».

Come ha scoperto il violino e poi la passione per la musica?

«Da piccola ho iniziato con mio papà Mircea, che è stato primo violino della Filarmonica di Bucarest. Il primo contatto con lo strumento? Mi hanno riferito che ho preso in mano il violino e ho detto che avrei voluto suonare un concerto di Cajkovskij».

Inevitabile una battuta sulla sua bellezza evidenziata dai servizi fotografici...

«Bellezza o no, con la musica non si può imbrogliare, non ci sono trucchi. Ci vogliono anni di studio, fatica, applicazione. Un bel servizio fotografico con un bell'abito da sera fa piacere, siamo donne. Ma il resto è studio continuo. Io ancora oggi passo cinque ore al giorno sullo strumento sempre alla ricerca della qualità».

Musica a parte quali sono le sue passioni, i suoi desideri?

«Mi piace il cinema horror, le canzoni dei Muse e di Elisa, e tantissimo il sushi».

Vuole aggiungere qualcosa?

«Si, voglio ricordare che il 17 dicembre ci sarà un concerto in memoria di Antonio Mormone; è grazie a lui che sono arrivata a Milano».

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