L'agente «sniffa» ma per i giudici può continuare a vestire la divisa

Uno sporadico cedimento alla cocaina non è un buon motivo per dover smettere di fare l'agente di polizia penitenziaria: pertanto il signor C.C., pur essendo stato pizzicato con un po' di polvere bianca, e benché anche in seguito si sia accertato che faceva uso di sostanze stupefacenti, potrà tornare a vestire la divisa da agente di custodia nel carcere milanese dove prestava servizio fino al momento dello sgradevole infortunio. Ci sono voluti più di cinque anni, ma alla fine il Tar della Lombardia ha dato ragione al secondino, che in tutto questo tempo era stato relegato in ufficio a lavorare come impiegato, ma non aveva mai smesso di battersi per tornare in trincea, nei raggi del carcere, a contatto diretto con i detenuti.
É una sentenza interessante, quella dei giudici amministrativi, perché definisce il cedimento alla cocaina un «problema di salute» che come tale deve essere valutato; e non come una faccenda disciplinare, come invece riteneva il ministero della giustizia, che aveva rimosso C.C. dall'incarico. Secondo il ministero, «l'aver fatto uso di sostanze stupefacenti rappresenti un serio pericolo per l'ordine e la sicurezza all'interno dell'istituto», «avuto riguardo alla specificità e alla delicatezza dei compiti istituzionali assolti dal personale appartenente al corpo di polizia penitenziaria».

Ma il Tar ha annullato il trasferimento dell'agente negli uffici, sulla base del referto di una commissione medica che lo giudicava idoneo al servizio. Secondo l'agente, la motivazione del trasferimento era «illogica e oscura». E i giudici ne hanno convenuto.

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