L'incompiuta Porta Vittoria Coppola: «È un complotto»

L'immobiliarista, accusato di fallimento, in Tribunale «I miei creditori d'accordo per mettermi in default»

Ecomostri, macerie e erbacce, si presenta così oggi l'area di Porta Vittoria, il più grande progetto di riqualificazione urbanistica dopo Porta Nuova. L'area tra viale Umbria e via Monte Ortigara si estende per oltre 150mila metri quadrati appena fuori dalla circonvallazione esterna, a est della città.

Il mastodontico progetto corre su due binari paralleli: una parte pubblica, che avrebbe dovuto ospitare la Beic, la Biblioteca europea di informazione e cultura, progetto nato nei lontani anni Novanta e realizzato solo sulla carta nel progetto dei tedeschi Bolles e Wilson poi sfumato nel nulla. Il cantiere per la parte di edilizia pubblica, compreso il parco, procede da più di dieci anni a singhiozzo. Dopo la dichiarazione di fallimento della Porta Vittoria spa dell'immobiliarista Danilo Coppola, sotto processo a Milano con le accuse di bancarotta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l'area dietro la stazione è tornata nella mani del Comune che dovrebbe sobbarcarsi i costi della bonifica dell'area e poi della realizzazione del parco. Per quanto riguarda la parte privata si parlava di 32mila metri quadrati totali di residenze private, un albergo e per metà adibiti a spazi commerciali.

Ieri Coppola ha dato la sua versione della vicenda giudiziaria: «Porta Vittoria mi è stata sfilata». L'immobiliarista, sotto processo al tribunale di Milano, ha reso ieri in aula dichiarazioni spontanee puntando il dito contro i creditori della società Porta Vittoria, sostenendo che si sono «messi d'accordo per mettermi in default». Secondo Coppola, ora i creditori «faranno un concordato fallimentare e si porteranno via Porta Vittoria per due soldi». La società, dichiarata fallita dal tribunale di Milano nel settembre 2016, si stava occupando, appunto, dello sviluppo immobiliare della zona a est del centro.

A presentare istanza di fallimento era stata la procura di Milano, oltre ai creditori Banco Popolare (esposto per circa 218 milioni di euro), la Colombo Costruzioni (per circa 39 mln) e il gruppo Ipi (che aveva un pegno di 53 milioni), della famiglia Segre.

Coppola oltre ad essere accusato della bancarotta di Porta Vittoria, risponde anche dello stesso reato per i fallimenti di Gruppo Immobiliare 2004 e Mib Prima.

L'immobiliarista romano sostiene che dai creditori è stata messa in atto una «strategia» che prevedeva di metterlo «in default: mi viene tolto il Cicerone (albergo di Roma), mi viene chiesto di rientrare del debito di 53 milioni (con la Ipi della famiglia Segre), vengo messo all'angolo», tutto con lo scopo di prendere Porta Vittoria. Coppola punta il dito soprattutto contro il Banco Popolare e, in una pausa dell'udienza, aggiunge che «il Banco era una banca finanziatrice e ha fatto istanza di fallimento quando il debito non era ancora scaduto».

Al momento del suo arresto nell'ambito di questa indagine, nel maggio 2016, è stato stimato che il gruppo delle società a lui riconducibili abbia un debito verso il fisco italiano di quasi mezzo miliardo di euro. «Dal 1994/1995 al 2007 ho riconosciuto al fisco 240 milioni di euro, circa 15 milioni l'anno», ha sostenuto Coppola in una pausa dell'udienza, sottolineando che «questo non mi viene riconosciuto e mi vengono chiesti altri 400 milioni di tasse.

Io non sono Bill Gates, non sono Google», ha continuato facendo riferimento alla trattativa in corso tra l'Agenzia delle Entrate e il motore di ricerca Usa, dopo l'intesa già trovata da Apple. «C'è qualcosa che non funziona, c'è un pregiudizio. C'è qualcosa di ingiusto che non è legale», ha aggiunto parlando del trattamento da lui ricevuto.

MBr

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