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L'ortolano degli chef che ha aperto a Brera il ristorante vegetariano

Arrivato dalla Puglia nel '56, Michele Tedone rifornisce i locali più noti della gastronomia

Paola Fucilieri

È così bello, a 74 anni, sentirlo dire che sta bene, si sente in pace con il mondo, non ha bisogno di nessuno ed è «molto felice» quando i suoi ragazzi (i figli, ma anche i giovani 23 dipendenti) sono felici. Pur con l'orgoglio misurato di chi sa bene di vendere da anni la frutta e la verdura a oltre 200 tra i migliori ristoranti e bar della città ma non l'ammetterebbe mai in maniera plateale, Michele Tedone va avanti con frugalità, semplicemente. Affidandosi ogni giorno alla fede, alla propria abilità e all'istinto proverbiale che lo hanno fatto diventare quello che più desiderava, un grande commerciante, seguendo il mantra che tanti anni fa gli aveva inculcato uno dei titolari della gastronomia storica Rossi&Grassi di via Mercato: mai dire «no» a un cliente. Questo piccolo grande uomo dallo sguardo buono, ma anche attento e concreto, di chi sa valutare al volo sia il peso di una cassa di pere che le persone che si trova davanti, continua così la sua routine tra il magazzino dell'Ortomercato e L'Orto di Brera, il negozio-ristorante di via San Carpoforo 6 che il figlio Leonardo ha trasformato in un tempio vegetariano di stuzzichini e spuntini, cibi buoni, raffinati e sani e dove Michele si concede ogni giorno, di ritorno dall'Ortomercato, «lo sfizio» di farsi preparare un pranzetto a sua scelta da uno dei due chef.

«Io ero contrario a trasformare l'attività, ma Leonardo mi ha fatto ricredere, lasciandomi il gusto dell'ortolano, con la vendita continua di frutta e verdura che non mancheranno mai e con 9 furgoni pronti per le consegne e per rifornire locali e banchetti, ma realizzando anche qualcosa di diverso: ha creato un vero business perché ha fatto come me, ha lavorato con amore. Sono molto fiero di lui, ma non ho ancora imparato a dirglielo e sa perché? Sono cresciuto in un mondo dove si insegnava che i bambini si baciano solo di notte, quando dormono e non se ne accorgono».

Certe passioni si cominciano a coltivare presto, anche troppo. E se adesso da piccolo c'è chi gioca già con il pc e lo smartphone, Michele Tedone - precoce intelligenza soprattutto nel far di conto - da bambino giocava al venditore. Sì: quest'uomo che da anni è il fruttivendolo di ristoranti à la page come Da Giacomo, Mamma Rosa, Montecristo, Antica Osteria Cavallini o la Trattoria Milanese di via Santa Marta, andava in giro per le case di Bisceglie a proporre le rape e i cipollotti coltivati dai suoi genitori, contrattava sul prezzo, per ritornare poi da mamma e papà a mani vuote e con le tasche piene. Così non ci volle molto in famiglia per capire che il ragazzino era un commerciante nato e che, come dice lui, i conti li faceva con la testa prima che con la matita.

«Succede a volte, se vado al ristorante, che qualche titolare mi presenti con orgoglio alla clientela come l'uomo che da una vita mi vende la verdura e la frutta migliori, più saporite, dai gusti autentici e distinti - racconta -. In realtà, io soddisfo il cliente proprio perché cerco di andare incontro a ogni sua esigenza, proponendogli più tipi dello stesso prodotto, naturalmente sempre di buona qualità. Ad esempio vendo le coste larghe, da fare con la besciamella, ma tengo anche quelle più sottili e le erbette per chi deve utilizzarle diversamente o le vuole condire come un'insalata. Lo stesso per le fragole e le fragoline di bosco e tutti i tipi di frutta».

«Prima di godermi questo stato di benessere materiale ma soprattutto interiore, prima del negozio all'angolo tra via Mercato e via San Carpoforo di cui comprai le mura nel '63 - quando Brera, che amo profondamente, non era molto diversa da Quarto Oggiaro, c'era di tutto - per rivenderle nel 2002 a causa di una di quelle offerte che non si possono rifiutare e spostandomi in via San Carpoforo 6, beh, prima di tutto questo sono stato un ragazzo di bottega nel negozio che mio zio aveva in via Borsieri, poi in quello di via Cusani. Chi se lo dimentica più quel 26 settembre 1956, quando lasciai la Puglia a 13 anni con un sole magnifico e arrivai in stazione Centrale insieme allo zio e alle mie cugine con i sandali e i pantaloncini e una camicia diventata nera perché con un treno a carbone avevo lasciato il magnifico sole della Puglia ed ero arrivato nella Milano della nebbia e dello smog?».

Tedone parla di una Brera che non c'è più, con le casalinghe che ancora facevano incetta di cibi «poveri» come patate e cipolle e di un centro storico dove lui si aggirava a portare le spese (prendendo mance da 50 lire che poi metteva insieme da mandare alla madre Francesca, a Bisceglie), pieno di palazzine con le cosiddette «case chiuse». Ricorda anche la Milano dei primi anni Settanta, quando il sindaco Aldo Aniasi e un giovane Silvio Berlusconi passando davanti al suo grande negozio di via Mercato lo indicavano come una di quelle botteghe «che rappresentano dei mazzi di fiori per la città».

Quel «fiore» lui lo ha costruito con enormi sacrifici, lavorando anche la domenica, quando alle 4 partiva per andare in Valtellina e in Trentino per realizzare un rifornimento di merce di valore che - saltando alcuni passaggio e trattando direttamente con i produttori e non con i mediatori - gli permetteva di fare prezzi equi ai clienti al momento

della vendita.

«Naturalmente - conclude un po' amaramente Tedone - lavorando così tanto è inevitabile lasciarsi qualcosa alle spalle». Gli affetti, gli chiediamo? Lui sorride, non parla. E del resto, questa è un'altra storia.

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