Non solo 20 milioni di euro per comprare l'aereo utile a don Luigi Verzé a evitare i check-in. Ma anche 2 milioni di dollari per cablarlo con un sistema internet. Una decisione presa in piena crisi del San Raffaele - nel 2007 - dal sacerdote con il suo vice Mario Cal. Il particolare è stato sottolineato ieri al processo sul dissesto finanziario dell'ospedale da due tecnici aereonautici sentiti come testimoni.
Secondo i testimoni - Carlo Sari e Michele Di Leo - l'aereo «era uno dei pochi al mondo all'epoca tutto cablato con un sistema internet». E per questa «modifica» il gruppo ospedaliero avrebbe pagato circa «due milioni di dollari».
Sempre secondo il racconto di Sari e Di Leo erano stati loro stessi a essere incaricati tra il 2006 e il 2008 da Pierangelo Daccò - il faccendiere già condannato a 10 anni di reclusione con rito abbreviato per associazione per delinquere e concorso in bancarotta fraudolenta - di svolgere attività di consulenza per ricercare un aereo.
I due hanno spiegato di aver trattato successivamente con Giancarlo Grenci, il fiduciario svizzero di Daccò, indagato in uno stralcio dell'inchiesta, che aveva trovato «la società svizzera che serviva per la compravendita». Quindi i due tecnici avrebbero incontrato Cal, «il quale da quel momento in poi seguì l'operazione di acquisto dell'aereo».
E sarebbe stato proprio Cal, morto suicida, a chiedere le modifiche: «Venne cablato tutto l'aereo per montare un sistema internet che non interferisse sulle apparecchiature di volo, ordinò dei posti in più e vennero messe dentro quattro poltrone e un tavolo».
Secondo le stime della procura, tutta l'operazione Assion di acquisto e modifiche dell'aereo è costata alla Fondazione circa 35 milioni di euro.
Don Verzé e Mario Cal - aveva messo a verbale una testimone in fase di indagini - avevano preso «la decisione» di acquistare quell'aereo privato di lusso da «quasi 20 milioni di euro», perché il religioso non accettava «facilmente dei normali check-in» quando viaggiava.
Ieri, inoltre, è stato sentito anche un ex dirigente del gruppo, Gianluca Santoro, il quale, in sostanza ha raccontato che il San Raffaele, e in particolare Mario Cal, dava sempre l'ok alle varianti ai lavori fatti dai fornitori, tra cui gli imprenditori Pierino e Giovanni Luca Zammarchi (padre e figlio).
Secondo la testimonianza di Santoro tutte queste varianti potevano «incrementavare i costi per l'ospedale anche fino al 50 per cento su ogni appalto».
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