L'unica cosa di cui bisogna aver paura è la paura, diceva Roosevelt, e il sogno americano ha ancora l'aura del mito per la nuova generazione di emigranti di lusso che guarda agli States come sinonimo di libertà. E mai meta migliore è considerata dai lavoratori dell'arte contemporanea come Vincenzo De Bellis che un anno e mezzo fa ha detto addio a Milano, dove ha diretto per quasi un lustro la fiera Miart, per trasferirsi a Minneapolis dove è stato nominato curatore per le arti visive nel prestigioso museo Walker Art Center. In qualità di direttore artistico di Fondazione Furla ha nelle scorse settimane inaugurato un programma di appuntamenti dedicati alla performance, che tra settembre e maggio animerà la Sala Fontana del Museo del Novecento.
«Non mi sento un emigrante - dice - perché ero felice anche in Italia. Il nostro è un Paese difficile per chi opera nell'arte contemporanea. Difficile ma non impossibile. Ci sono musei come Madre, Museion e Mart, solo per fare tre nomi, che sono delle eccellenze. Io, prima di ottenere l'incarico al Walker, avevo provato tutti i concorsi che ritenevo di poter affrontare. Non ce l'ho fatta e ora sono molto felice di essere qui con la mia famiglia. Il Walker è un posto mitico per un curatore, mi sento privilegiato, fortunato e anche un po' orgoglioso». L'America è lontana, cantava Lucio Dalla, ma nell'arte come in altri settori troppo spesso non si è profeti in patria e, da Parigi a New York, fioccano giovani curatori e dirigenti di musei che arrivano dal Belpaese. «E pensare che in Italia c'è ancora chi si scandalizza per i direttori stranieri nominati dal Ministero: anacronistico», puntualizza De Bellis, che alla sua prima esperienza museale sta sperimentando un concetto di gestione della cultura molto lontano da quello italica che «non dà da mangiare». «Da queste parti i musei sono pubblici soltanto nel senso del servizio ai cittadini, ma di fatto funzionano come aziende private dal momento che per il 95 per cento si sostengono con corporate sponsor e donazioni di privati cittadini. Del resto si tratta di fondi che i finanziatori possono interamente o quasi detrarre dalle tasse...». Da noi, il concetto di pubblico, anche nella cultura, fa invece rima con politica. «Le cose secondo me stanno cambiando ma un po' si sente ancora il peso di una gestione basata sul principio della lottizzazione politica». La sua Milano non fa eccezione. «L'arte deve sganciarsi dalla politica altrimenti siamo destinati a rimanere la provincia dell'impero, e i primi ad essere penalizzati sono i nostri artisti». A proposito di contemporanei e di giovani, De Bellis fa il paragone con gli artisti d'oltreoceano con cui è abituato a lavorare: «Il primo scotto che pagano gli artisti italiani è quello con la formazione: le accademie sono un luogo fondamentale per la nascita degli artisti, le nostre, Brera compresa, sono obsolete. Questo non dipende da chi ci insegna ma da come sono strutturate, non si sono evolute come hanno fatto altre scuole d'arte nel mondo. Una riforma sarebbe fondamentale e urgente perché sta penalizzando la crescita e i curricula degli artisti del futuro. Sono convinto che l'altro problema riguarda la mancanza di musei e istituzioni in Italia che li sostengano e li storicizzino. Le stesse gallerie molto spesso, alle fiere internazionali, preferiscono esporre stranieri». Un po' come accade nel nostro calcio... «Esiste anche un problema culturale: sembra paradossale, il nostro grande passato pesa come un macigno anche sulla poetica degli artisti contemporanei, le cui opere spesso risultano troppo complesse per il gusto internazionale. Altrimenti non si spiegherebbe perché anche tra i nostri big del Dopoguerra, soltanto pochissimi (come Alighiero Boetti e Michelengelo Pistoletto) sono stati presentati dai grandi musei internazionali come il MoMA. Anche qui le cose stanno cambiando e speriamo che sia la volta buona. Tocca anche a noi che siamo all'estero fare in modo che accada».
Dal Minnesota, però De Bellis fa una promessa: «Nel mio piccolo aiuterò l'arte italiana, e infatti ho già portato nella collezione del Walker un'opera storica di Giulio Paolini e due di artisti più emergenti come Lara Favaretto e Francesco Arena». Al cuore non si comanda, certo. Ma De Bellis ne è convinto, per l'arte d'oggi gli Stati Uniti sono davvero l'America.
«Il Museo di Minneapolis ogni sabato è aperto a tutti gratuitamente e i genitori possono lasciare i loro bambini a baby-sitting gestiti da mediatori culturali. Anche perché nelle scuole l'educazione artistica è equiparata alle altre materie».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.