Da Milano parte la sfida per combattere l'epatite

Da Milano parte la sfida per combattere l'epatite

Hanno un tasso di raccolta organi comparabile ai paesi europei più evoluti come Francia, Inghilterra e Germania. E solo come Policlinico, nel 2013 hanno eseguito 48 trapianti di fegato, senza contare quelli di reni su adulti (52), pediatrici (15) e 25 di polmoni.
«Il trapianto è un grande frutto della scienza con un immenso risvolto pratico, ridà vita a una persona condannata alla morte epatica. Il vero miracolo della scienza sarà quello che dalle cellule staminali porterà alla creazione di organi umani ex novo e permetterà di superare la fase meccanicistica basata sull espianto di organi da donatore morto o vivente che tuttavia ha permesso di salvare negli ultimi 40 anni decine di migliaia di pazienti altrimenti condannati a morte epatica. E la qualità non sta nella quantità».
Il professor Massimo Colombo, 67 anni, dirige il dipartimento di medicina dei trapianti del Policlinico ma parla dell'argomento con la semplicità, e al tempo stesso con l'entusiasmo, di un vicino di casa che sta spiegando come creare innesti per far crescere magnifiche rose.
Il trapianto ortotopico di fegato è una conquista importante della medicina degli ultimi 40 anni e il Policlinico di Milano ne è stato uno dei protagonisti. Attraverso una serie importante di sviluppi si è affermata come una sicura ed efficace cura salvavita per i malati terminali di fegato. In Italia esistono 1 milione di individui cronicamente infettati dal virus dell'epatite C, mezzo milione di portatori cronici di epatite B e un numero imprecisato, certamente elevato, di forti bevitori di bevande alcoliche che negli anni sono a rischio di sviluppare malattie progressive del fegato. Si calcola che ogni anno 20/25mila italiani perdano la vita per le complicanze della cirrosi causata da questi fattori di malattia e circa 1000 di loro vengono salvati con un trapianto di fegato.
«Le ragioni di questa discrepanza sono molto chiare - spiega Colombo -. Un gran numero di pazienti viene riconosciuto in fase di malattia epatica terminale quando non è più possibile applicare il trapianto mentre altri sono portatori di malattie associate che compromettono la sopravvivenza dopo trapianto. La disponibilità di nuove ed efficaci cure contro l'epatite virale B e più recentemente contro l'epatite virale C è destinata nel giro di 10-15 anni a modificare lo scenario perché riusciremo a controllare meglio la cirrosi causata da questi agenti e identificare precocemente i pazienti che possono trarre beneficio dal trapianto di fegato. In aggiunta, fatto non trascurabile, l'arrivo dei nuovi farmaci contro l'epatite virale C applicabili in tutte le condizioni cliniche del malato che garantiscono tassi assoluti di guarigione eliminerà di fatto la più importante complicanza del trapianto di fegato nei pazienti con epatite C cioè la ricorrenza della epatite virale stessa dopo trapianto».
A Niguarda nel 2013 hanno effettuato 76 trapianti di fegato da cadavere e sei da vivente, 62 e 12 sono i numeri che riguardano invece i reni, 21 i trapianti di cuore. Tuttavia, se si vuol parlare veramente di grandi numeri sono quasi 7mila i trapianti, tra organi e tessuti, eseguiti dal 1972 a oggi.
«Purtroppo dinnanzi a certe patologie non c'è alternativa al trapianto - spiega prammatico Giuseppe Genduso, direttore dell'ospedale Niguarda -. Tuttora i maggiori aiuti nel sostituire le tecniche di trapianto restano la dialisi per i reni e le pompe di supporto al cuore. Costosi, complicati, sono però gli unici due metodi finora che ci hanno permesso di sostituire organi con le macchine. In altri campi non abbiamo purtroppo simili “aiuti”. Lo sanno bene anche al Policlinico con il quale abbiamo fatto un accordo sul trapianto di polmone, mettendo in comune le liste d'attesa e riducendo al minimo le difficoltà delle rispettive équipe operando tutti in via Francesco Sforza, a fronte di un intervento raro ma che richiede un impegno pauroso in sala operatoria. Siamo però gli unici autorizzati a fare trapianti a persone positive all'Hiv».
In Lombardia abbiamo un numero di donatori per milioni di abitanti del 20.8 (nel 2012 la percentuale era oltre il 23) un dato di tutto rispetto se confrontato con quello italiano al 18.5 e con quella europea che è del 16.9. Eppure nel nostro Paese si aspetta mediamente 3 anni per un rene, più o meno lo stesso tempo per un cuore, quasi due per un fegato. «Per accorciare i tempi bisogna aumentare la nostra capacità di donazione, riducendo l'opposizione dei parenti - continua Genduso -.

Molto dipende da come i medici gestiscono i casi: se i familiari sono soddisfatti del trattamento riservato al malato e hanno avuto un buon rapporto con chi si è occupato di salvare il loro caro, sono più propensi alla donazione».

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