Cronaca locale

Dal Montanelli al Pirellone, la sinistra ora si "radicalizza"

Per prendere la Regione attacca a testa bassa su tutto. Ma così fallirà. E rischia di perdere anche il Comune

Dal Montanelli al Pirellone, la sinistra ora si "radicalizza"

Ieri le femministe per parlare di «pedofilia e colonialismo», sabato un pezzo di Pd (con Arci e compagnia) per «salvare la Lombardia». Quella che torna nelle piazze è «la gioiosa macchina da guerra», una sinistra milanese che - dall'emergenza Covid al caso Montanelli - sta venendo fuori «al naturale». Sembra passato un secolo da quando il tentativo del Pds-Ds-Pd, in parte riuscito, era quello di accreditarsi come forza di sinistra liberale. Erano gli anni Novanta-Duemila, e le elezioni si vincevano ancora «al centro». Ora tutto è cambiato. Archiviando repentinamente 20 anni di riverniciature politiche, la sinistra torna all'antico, a una sorta di «fronte progressista». Attacca a testa bassa, radicalizza il suo profilo politico - come ha chiesto l'eurodeputato Pierfrancesco Majoirino - e propone qualcos'altro che sarebbe «possibile»: un'altra sanità, un altro mondo, un'altra economia forse. Lo si vede bene nella vicenda dell'epidemia, e lo si riscontra anche nel caso Montanelli, improvvisamente sollevato a Milano per analogia con ciò che accade negli Usa e in Gran Bretagna. Sull'epidemia, pensando di coglierne i frutti alla prossima scadenza elettorale regionale, il Pd ha scelto una linea drastica, molto oltre un'equilibrata valutazione del dramma che la Lombardia ha vissuto. A differenza di altri gruppi di opposizione che hanno elaborato a una critica puntuta ma fattuale, non si è limitato a contestare alla giunta regionale singole scelte o singoli errori, ma ha imbastito una sorta di assedio mediatico-politico quotidiano, ispirato alla narrazione di un «disastro politico». Per farlo, si è appoggiato a settori oltranzisti della sinistra oggi riuniti intorno alla rete «Milano 2030», personalità rispettabili ma un tempo considerate inservibili alla causa di un partito moderno. Il risultato è stata la messa in stato d'accusa di un intero «sistema», o addirittura - come si è sentito dire a Bergamo durante una manifestazione sparuta ma abbondante di bandiere rosse - di «un modello di sviluppo basato sul profitto». Di tutt'altro orientamento, ma isolati, gli esponenti di una sinistra di matrice socialista, che hanno messo in guardia dai pericolo di un «becero linciaggio di 25 anni di governo della Lombardia», avvertendo che potrebbe essere un «tragico autogol». Una sinistra riformista non avrebbe mai scelto una linea assimilabile a un «linciaggio». In politica le radici contano, e nel momento decisivo danno i loro frutti. Questi frutti, però, rischiano di risultare indigesti non solo in Lombardia, anche a Milano. Una sinistra di matrice non comunista è stata liquidata 25 anni fa. Resta Beppe Sala, che si è detto contrario al commissariamento.

Finora è riuscito a barcamenarsi, ha fatto sintesi, ma potrà (e vorrà) farlo ancora? Il rischio che corre la gioiosa macchina da guerra è grosso: non conquistare la Regione e «perdere contatto» con un pezzo centrale di Milano che le aveva dato fiducia.

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