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Moschea, la proposta del Comune: aree in cambio di un accordo

La scambio di Palazzo Marino: "Un terreno pubblico se i centri islamici presentano un progetto condiviso"

L'ultimo ramadan all'Arena civica
L'ultimo ramadan all'Arena civica

L'incontro di ieri nel suo ufficio in largo Treves l'assessore Pierfrancesco Majorino lo considera «un piccolo passo avanti» verso la moschea di Milano. In realtà è difficile capire se sia avanti, indietro o piuttosto di lato, visto che il vertice con le comunità islamiche milanesi si è concluso con una fumata nera e con l'impegno di una nuova riunione, il 29 maggio. E cosa dovrebbe succedere in questo mese? Le comunità islamiche dovrebbero trovare, dopo anni, un accordo. Questo tradotto dal politichese, significa l'auspicio di un «confronto costruttivo tra i diversi soggetti che compongono il variegato mondo islamico milanese». Palazzo Marino vuole una «progettualità comune». Insomma, le principali associazioni musulmane attive oggi a Milano, al di là delle divisioni di natura religiosa, «politica» o etnica, dovrebbero mettere sul tavolo un progetto di gestione condivisa e «democratica» di un ipotetico grande luogo di culto della città. Un'impresa non da poco. Per incentivarla, il Comune mette sul piatto un'offerta, anch'essa non da poco: un'area comunale (non gratis) su cui far sorgere il sospirato minareto milanese. Potrebbe essere Lampugnano. Ma l'area ex Palasharp non è l'unica presa in considerazione dalla giunta, e ci sono anche aree private potenzialmente idonee.

La proposta di Majorino è stata accolta con un certo entusiasmo dal Caim, il coordinamento delle associazioni islamiche che riunisce oltre una ventina di sigle fra Milano e Brianza, che hanno partecipato in massa al vertice, tutti disciplinati e compatti dietro il coordinatore Davide Piccardo. Più cautela si registra nella Casa della cultura islamica di via Padova, l'altro grande polo dell'islam milanese, che farà più fatica a «fondersi» con il discusso Istituto islamico di viale Jenner e con le altre sigle del Caim, che pure si è detto disponibile ad allargare il progetto di Lampugnano ai «rivali». Il Caim, d'altra parte, sa di non avere (più) la forza di portare a casa da solo il risultato, a maggior ragione dopo la polemica post 25 aprile, quando lo stesso Majorino, insieme a mezzo Pd milanese, ha bacchettato le parole di Piccardo sulle bandiere israeliane (dichiarazioni non rettificate anzi confermate ieri dallo stesso giovane dirigente del Caim). Su un punto sembra che l'accordo fra i centri islamici ci sia già ed è sul no al piano della Giordania in viale Certosa, di cui il Giornale ha a lungo parlato nei giorni scorsi. I centri islamici locali fanno sapere di non gradire l'intervento di Paesi esteri. Un «no» che fa il paio con il «no» alla moschea per Expo: «Non vogliamo soluzioni temporanee» dicono. Piuttosto preferiscono una soluzione definitiva da realizzare per fasi (la prima delle quali sarebbe il 2015).

Ciò non significa che il Comune abbia accantonato la soluzione giordana (che piace al sindaco, e non solo a lui). Anzi, l'impressione è che possa tenerla buona nel caso, probabile, di mancato accordo fra i capi dell'islam cittadino.

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