Quel "negra" della prof e gli studenti fuori tema

Quel "negra"  della prof e gli studenti fuori tema

Non c'è nulla di peggio delle tragedie che si trasformano in farsa. Perché spiace per i volonterosi studenti del Politecnico, ma tra i 27 anni di carcere scontati da Mandela e la loro protesta per la frase di una professoressa, c'è tutto l'abisso in cui stiamo precipitando. Perché quante delle nostre mamme o delle nostre nonne ci hanno detto «non sono la tua schiava negra»? Probabilmente tutte, eppure nessuno si è mai sognato di andare a denunciarle, come hanno fatto questi universitari così suscettibili di fronte alla reazione della professoressa di Analisi alle loro continue richieste durante una lezione a distanza. Come si può capire con un minimo di buon senso, soltanto una frase fatta tramandata da generazioni, senza il benché minimo intento di imbastirci sopra un manifesto della razza. «O la smettete o la smettiamo di fare lezione, basta con 'ste chat!», il preambolo alla sventurata affermazione finita all'indice degli «Studenti indipendenti Politecnico». Ragazzi che una volta avrebbero manifestato per Marx, Che Guevara o per portare in Italia la Cina di Ho Chi Min, ma che oggi in assenza di una qualunque ideologia sono costretti a baloccarsi così. Peccato che di fronte all'accusa di razzismo, poco si possa fare. Impossibile qualunque reazione, pena l'essere accusati delle peggiori nefandezze. «Non solo pensiamo che sia grottesco come un membro del corpo docenti possa ricorrere con questa facilità a termini, paragoni ed immaginari razzisti e coloniali - hanno tuonato sui sociali provocando lo scontato diluvio -, ma riteniamo sia ancora più grave se usata come risposta a chi stava avendo difficoltà a seguire lezione». Perché se una volta lo studente che tornava a casa con un brutto voto prendeva gli sculaccioni dei genitori che nemmeno volevano sapere come era andata, ora a essere malmenati sono più spesso gli insegnanti che i figli. Tanto che perfino il rettore Ferruccio Resta ha dovuto abbozzare e parlare di «un episodio molto brutto in cui un collega, non rivolgendosi a nessuno, ma indipendentemente da questo, si è espresso in maniera non appropriata, non vicina al codice etico o a qualunque modo di educazione e di valore che tutti noi condividiamo».

Convocando il collegio di disciplina, senza insegnare agli studenti che nella sua meravigliosa traduzione del Moby Dick di Herman Melville, Cesare Pavese utilizza sempre la parola «negro». Ma questa è un'altra storia. O forse no.

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