Primarie, i paletti dei renziani: "No al rodeo con dieci nomi"

La sinistra interna fa volare parole grosse contro il vice di Renzi. Ma i vertici dettano tempi e limiti: "Votiamo. In modo ordinato"

Volano parole grosse e saltano i nervi. Le primarie fanno litigare il Pd. Devono essere i cittadini a scegliere il candidato sindaco? E quando? Con quali regole? Queste domande oggi spaccano il partito. Le primarie sono croce e delizia dei renziani. E Milano non fa eccezione, anzi. Le Comunali del 2016 saranno le più politiche degli ultimi anni: si eleggeranno i sindaci in molte città chiave e forse lo si farà a ridosso del voto nazionale che segnerà il destino del premier e segretario Matteo Renzi. Normale che i riflettori siano accesi e la tensione altissima.

Normale anche, per i renziani, che i vertici nazionali del partito abbiano voluto parlare con quelli locali. «Per fare il punto, per verificare il percorso». Il punto è stato fatto lunedì dal vice segretario, il lodigiano Lorenzo Guerini, con una dozzina di compagni rappresentativi del partito milanese (e delle «correnti»). E qui opinioni e ricostruzioni già divergono. Un esponente di rilievo dell'opposizione interna, l'ex segretario milanese Roberto Cornelli, non usa giri di parole per bocciare l'iniziativa di Guerini. «Ecco, lo sapevo - ha scritto ieri - Anche questa volta c'è chi vuole incasinare tutto il percorso per Milano. Magari imponendo da Roma il modello Lodi su Milano. Oppure, partendo dal modello Firenze, fare di Bergamo il laboratorio per Milano. Oppure ancora fare a Varese e Roma un pensatoio per individuare il candidato unico del centro sinistra (ma senza limiti a destra)».

I riferimenti geografici, da esplicitare, sono chiarissimi: il modello Lodi si riferisce appunto a Guerini. Il «pensatoio» di Varese all'insubre segretario regionale Alessandro Alfieri. Il «laboratorio Bergamo» all'orobico ministro Maurizio Martina e forse al sindaco Giorgio Gori. Per uscire da riferimenti cifrati, il timore della sinistra interna al Pd è che Renzi, con la sua catena di comando che da Roma arriva a Milano, voglia cancellare le primarie e imporre un suo candidato, vale a dire il commissario Expo Giuseppe Sala. «Le primarie non sono un dogma» questa la farse attribuita a Guerini.

La sinistra Pd trabocca di amore per le primarie perché il suo candidato ce l'ha e si chiama Pierfrancesco Majorino, che con la consueta sincerità ha già bollato come «sciocchezze» le presunte decisioni prese in «riunioni e riunioncine». E ieri ha rincarato la dose: «È un dogma non far decidere il candidato sindaco, spazzando via lo spirito di questi anni, a quattro capicorrente». E non è un caso che ieri un uomo vicino a Majorino, Carlo Monguzzi, sia intervenuto con altrettanta decisione: «L'importante è che ( le primarie , ndr) si facciano, altrimenti chi potrebbe scegliere il candidato migliore per governare il Comune di Milano: forse un sorteggio, forse il Mago di Oz?».

Ora, che le primarie debbano farsi, i renziani in realtà non lo negano. E infatti, a tutti risponde, per le rime, proprio Alfieri: «Tutti abbiamo convenuto sull'utilità delle primarie e sul fatto che si debbano fare - dice - ma bene, in linea con lo statuto». Lo statuto citato da Alfieri prevede un tetto massimo di due candidati del partito alle primarie di coalizione. «Noi lavoriamo per vincere - spiega Alfieri - non per fare un rodeo con una decina di candidati. Le primarie devono essere un luogo per scegliere una candidatura forte e autorevole».

Sarà Sala? Possibile che alla fine il grosso del partito sceglierà di sostenere lui - anche se sottoponendolo al rito delle primarie, per quanto scontate. Lui, intanto, vedendo la mala parata, ieri ha preso le distanze, frenando vistosamente. «Se ho detto che ci penserò ad agosto, evidentemente, ho anche sbagliato. A questo punto, credo e sono assolutamente convinto che fino a fine ottobre non dovrò pensare a nient'altro che a questo evento. Poi, se perderò dei treni, la mia vita andrà avanti ugualmente.

Ho dato tutto e dovrò continuare a farlo. Le primarie? Possono fare quello che vogliono». Ora dal Pd smentiscono di averlo coinvolto e minimizzano: «Lasciamolo lavorare a Expo». Ottobre però, potrebbe essere il momento giusto.

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