(...)Il meteo dice che il brutto e il freddo torneranno presto. Tutto concorre all'uscita.
Una signora sui sessantacinque attende paziente il suoturno. E' ben posizionata: intorno al cinquantesimo posto.
«Scusi signora» le faccio. «Perché siete in fila?»
«C'è un evento» risponde.
Se le domandassi «quale evento?» mi sentirei stupido. La sua risposta è stata perfetta, esauriente.
Il termometro segna dodici gradi, ai primi di gennaio. Le code si attorcigliano su sé stesse.
«Qui che ora facciamo?», un signore sui cinquanta esprime la propria perplessità alla moglie, che l'ha obbligato a fare la fila per la mostra di Picasso.
Una donna si gira: «E' lunga ma è svelta»
«Hai sentito la signora?»
«Ci fosse un cafferino»
«Ma se l'hai appena preso?»
Al Cairo, spiega l'uomo svogliato, ci sono ragazzini che vendono limonata a quelli che stanno in coda.
Al Cairo, spiega la moglie, siamo scappati dopo due giorni perché non resistevi più.
Al centro della piazza intravedo, più dinoccolato che mai nel suo loden verde, un vecchio amico, che se ne sta a braccia conserte a guardare la fila sempre più attorcigliata. Già la sua posa è uno sfottò, non c'è bisogno di vedergli gli occhi. Milano è sufficientemente piccola da poterci incontrare sempre qualcuno che si conosce.
«Guardali» mi fa. «Che sete di cultura, eh?»
Cita il grande Marc Fumaroli. Tutti in fila per la santa comunione, dice. La cultura come dovere civico: non puoi non aver visto la mostra di Picasso. Non ti dico i commenti davanti ai quadri. Mi giura che, davanti a «Massacro in Corea» del 1951, sono in tanti a vederci Alien o Guerre Stellari.
N., che da almeno trent'anni lavora con una certa frequenza in progetti russi, e conosce la Russia come le sue tasche, dice che se un moscovita ibernato negli anni Settanta si scongelasse ora, qui, si sentirebbe di sicuro a casa propria. Code di qua, code di là. Come quando si doveva presentare la tessera per prendere il pane, o la vodka, o qualsiasi altra cosa. Tutti in fila. Non per un dovere civico, forse, ma solo per campare, per traghettare sé stessi da un'ora all'altra, da un giorno all'altro.
Con una differenza: ciò che allora era deprecabile oggi è diventato desiderabile. La gente ha scoperto che stare in fila è bello. Siano saldi, sia Abercrombie, siano opere d'arte, sembra che la coda sia la vera essenza del fenomeno. Il vero scopo di tutto.
Perché nessuno va a Brera, o al Poldi Pezzoli? Eppure c'è da scommettere che non tutti coloro che vedranno Amore e Psiche del Canova si sono mai sognati di andare in Brera ad ammirare Raffaello, Caravaggio, Mantegna, Piero della Francesca.
Uno scrittore russo degli anni Ottanta, Vladimir Sorokin, scrisse un bellissimo romanzo, «In coda». Vi si legge: «I russi non sono capaci di vivere nel presente. Vivono nel passato o nel futuro, come in una stazione ferroviaria, sempre in attesa di un treno che li porti altrove».
Forse non solo i russi.
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